Abete greco, Greek Fir, Sapin de Cephalonie, Griechische Tanne
Grande albero dal portamento colonnare, diffuso spontaneamente nella parte meridionale della Penisola Balcanica. Vegeta sui monti della Grecia centrale e meridionale e nelle isole di Eubea e Cefalonia, donde il nome. Raggiunge i 30m di altezza ed i 2 metri di diametro. E’ specie longeva e frugale, adattandosi a qualsiasi tipo di substrato. Nelle zone di origine forma boschi puri o misti con Pino nero (Pinus nigra), pino d’aleppo (Pinus halepensis L.) e querce (Quercus coccifera) nel sud della Grecia e misti con pino nero, pino loricato (Pinus heldreechii Christ.) e faggio (Fagus sylvatica L.) nel Pindo meridionale e centrale. A nord viene in contatto con l’Abies alba Mill, dalla cui ibridazione ha avuto origine l’Abies borisii-regis Mattf.
PORTAMENTO. Eretto, piramidale con base larga, di colore verde glauco lucente se visto da lontano, ed è riconoscibile dall’abete bianco perché la chioma è più tozza e meno regolare. Rami che partono dal basso, soprattutto nelle piante isolate, che rimangono sempre tozze e di statura modesta, soprattutto nelle zone d’origine. Complessivamente, pianta più rastremata dell’Abies alba e delle altre specie mediterranee.
CORTECCIA. Generalmente liscia negli esemplari giovani, di colore grigio, simile a quella dell’abete bianco. In giovani perticaie le due specie sono praticamente indistinguibili dall’osservazione della sola corteccia. In età adulta il colore della corteccia muta, come per l’abete bianco, verso tonalità più scure, variabili in dipendenza dell’altitudine della stazione e della fertilità del terreno. Con l’aumentare delle dimensioni del tronco, la corteccia si screpola con fenditure verticali, soprattutto nella parte bassa del tronco. Nei soggetti plurisecolari, la corteccia è indistintamente screpolata lungo tutto il fusto ed il colore tende al grigio/
CHIOMA. Colore verde chiaro/glabro, argentata se vista dal basso a causa delle linee stomatifere e della disposizione degli aghi, a manicotto. La sua forma è nettamente piramidale in giovane età e negli esemplari isolati, ma complessivamente più rastremata rispetto all’abete bianco. L’abete greco mantiene i rami bassi anche in età adulta quando isolato e possiede minori capacità di auto potatura anche quando cresce in boschi fitti.I rami sono verticillati, come in tutte le altre specie del genere Abies.
FOGLIE. Gli aghi, appiattiti, sono disposti a spirale lungo i rametti ma si dispongono su due piani non molto rilevati) per torsione. Il loro ciclo vitale varia dai 3 ai 9 anni ca.. Gli apicdegli aghi sono acuminati. Il lato inferiore è caratterizzato dalla presenza di due linee stomatifere di colore biancastro e cerose le quali, unitamente agli apici acuti, rappresentano l’unico valido e rapido metodo di identificazione della specie.
FIORI. L’abete greco è una pianta monoica. I microsporofilli sono disposti sotto i rami di un anno nella parte superiore dell’albero (ma anche a media altezza), mentre i macrosporofilli si trovano sempre sui rami di un anno ma solamente nella parte superiore della chioma. L’abete bianco fiorisce in primavera.
FRUTTI.
Gli strobili sono a forma di cono e sono di colore verde quando sono giovani e brunastri quando sono maturi. Gli strobili sono cilindrici, eretti, lunghi 10-20cm, generalmente più grandi di quelli dell’abete bianco. Sono resinosi e presentano brattee sporgenti.
Caratteri dell’ambiente
L’area geografica in cui vegeta l’abete greco è compresa tra i 38°50′ ed i 36°50′ di latitudine nord. Si tratta della parte più meridionale della penisola balcanica. Il territorio è prettamente montuoso e le pianure sono confinate nelle porzioni occidentali e nella parte sudorientale. La posizione geografica dell’area fa sì che il clima sia caratterizzato da una forte impronta mediterranea, con precipitazioni contenute e concentrate nei mesi autunnali e invernali. La distribuzione delle precipitazioni varia in dipendenza dell’altitudine e dell’esposizione, ma possiamo definire l’area come mediamente arida nelle aree interne ed orientali (Tripoli e Sparta) e moderatamente umida nella parte occidentale e settentrionale, più aperte alle correnti occidentali le prime e più mitigate dai freschi venti settentrionali le seconde. Le quantità oscillano tra i 300 mm dell’area di Tripoli agli oltre 1.500 mm dei versanti occidentali del M. Taigeto (Peloponneso) e delle montagne epirote. La temperatura invernale è interamente compresa nell’isoterma dei 10 °C per la stagione invernale e nei 25 °C per quella estiva. Tali dati non tengono conto di alcuni particolari rilevanti che mutano le condizioni climatiche in modo piuttosto intenso. Prima tra tutti la ventosità, che accentua i rigori invernali e l’aridità estiva, che limitano lo sviluppo delle foreste nei massicci settentrionali del Peloponneso e del Parnaso, molto esposti a questo tipo di evento. Secondo fattore è l’insolazione assoluta molto elevata.
Difatti, le precipitazioni avvengono in un arco temporale molto ristretto e l’altezza del sole sull’orizzonte, a queste latitudini, determina un’intensa evaporazione dal terreno e condizioni d’illuminazione simili a quelle della nostra Sicilia e Calabria meridionale per le porzioni più settentrionali, e al Nord Africa per le bellissime montagne del Taigeto e della penisola del Mani. La stagione secca ha inizio in maggio e si prolunga fino a ottobre. In estate, i temporali sono molto rari ed avvengono esclusivamente sulle montagne più elevate. Per contro, la natura litologìca del terreno permette alla vegetazione di compensare parzialmente il deficit idrico che, altrimenti, sarebbe esiziale. La matrice geologica prevalente è quella calcarea, mediamente del Secondario (Giurassico e Cretaceo), ma anche del Terziario (Miocene). Diffusi sono anche gli scisti, e questa loro presenza è molto interessante poiché da essi hanno origine ottimi suoli sabbiosi con notevole potenziale idrico di ritenuta. Le migliori formazioni forestali si hanno proprio su questi suoli, ma, anche in Grecia come negli altri paesi circumediterranei, la regressione del bosco ha comportato un notevole impoverimento pedologico. In moltissimi luoghi i ricchi suoli eutrofici caratteristici di ecosistemi forestali evoluti sono regrediti verso forme di litosuoli o suoli decapitati. Quest’aspetto si osserva soprattutto nelle aree già ricoperte di querceti, più o meno mesofili, mentre all’interno delle abetine meglio sviluppate il profilo pedologico ha mantenuto una certa integrità con ricchi suoli bruni.
La nevosità invernale sulle montagne è molto intensa e il manto nevoso si conserva a lungo al suolo. Residui nevosi sono stati osservati nei mesi di luglio ed agosto sui monti Parnaso, Vardoussia, Helmos e Taigeto. Quest’ultimo caso è veramente eccezionale, vista la sua latitudine “africana” e la quota relativamente contenuta (2.404 m).
Ambiente forestale
L’ambiente naturale della Grecia meridionale e del Peloponneso è caratterizzato da una morfologia piuttosto movimentata. Le pianure sono poco estese e spesso rappresentate da conche interne, mentre diffuse sono le pianure alluvionali e le zone con falda freatica superficiale, intensamente coltivate ma non ancora del tutto bonificate. Le montagne sono aspre e sono frequenti le pareti rocciose, i pendii ripidi ed i canaloni.
La vegetazione forestale della Grecia centromeridionale è alquanto frammentaria e diminuisce progredendo verso sud e verso est. I motivi che hanno ridotto l’estensione delle foreste a questi livelli sono da ricercarsi nell’intenso sfruttamento per il legname di cui sono state oggetto sin dagli albori della civiltà ed al grande sviluppo che ha avuto e che ha la pastorizia in queste plaghe. Inoltre, una buona parte delle foreste greche venne distrutta durante la guerra d’indipendenza del 1821 da parte dei turchi, che usavano incendiare le foreste durante il loro ritiro come atto di ritorsione nei confronti delle popolazioni locali, soprattutto nel Peloponneso. Le aree incendiate dai turchi sono ancora facilmente riconoscibili, poiché hanno dato origine alle attuali formazioni composte da macchia degradata a quercia spinosa (Quercus coccifera L.), occasionalmente arricchita da pino d’aleppo (Pinus halepensis L.), cipresso comune (Cupressus sempervirens L.) e abete. Molto probabilmente, i popolamenti originari erano edificati da consorzi misti di abete e querce che, come vedremo più avanti, sono ancora la tipologia forestale più diffusa. Infatti, a conferma di ciò, si nota con molta evidenza che la distribuzione delle foreste segue una tacita regola che le vede protagoniste nelle zone dove gli eventi bellici sono stati più limitati (Parnaso, Erimanthos, Parnon, Menalo, Taigeto) in luogo dei siti dove gli scontri sono stati più cruenti.
A partire dal livello del mare, troviamo formazioni forestali dunali e retrodunali composte da pino d’aleppo e pino domestico (Pinus pinea L.), associati alla vallonea (Quercus aegilops L.), molto ben sviluppate ma di chiara origine antropica. Si tratta di piantagioni effettuate all’inizio del secolo per consolidare la duna, affinché non avvenisse l’interramento delle paludi retrostanti (Kalogria). Popolamenti naturali di pino d’aleppo, ottimamente sviluppati, si trovano nella regione attorno ad Olimpia, nelle propaggini occidentali del Taigeto e nelle belle montagne del Parnon, nella parte orientale del Peloponneso, mentre altrove la conifera è sì presente, ma sempre in maniera irregolare. Assieme al pino d’aleppo vegetano alcune querce, tra le quali la quercia spinosa, la roverella (Quercus pubescens Willd.) e, in via del tutto eccezionale, la rovere (Quercus petraea Mattuschka) ed il cerro (Quercus cerris L.). I boschi di latifoglie si trovano diffusi nella Grecia centrale. sono forma di leccete o cerrete miste con roverella, carpino nero, quercia spinosa, orniello (Fraxinus ornus L.) con elementi della macchia accessori (Arbutus unedo L., Pistacia lentiscus L., Myrtus conununis L. ecc. ), mentre nei Peloponneso il cerro e il leccio divengono più che rari e il querceto si riduce a una macchia alta edificata principalmente da quercia spinosa, roverella e vallonea (nelle zone migliori). Tratti ben sviluppati di querceto si trovano tra Andritsena e Zacharo, sul M. Minthi (1.344 m), soprattutto sulle pendici rivolte verso il mare (il versante interno è stato distrutto da un colossale incendio nel 1999). Un aspetto molto interessante della Grecia centro-meridionale è la presenza di querceti governati ad alto fusto e in molti casi in netta ripresa dopo l’avvenuto calo della pressione antropica. Oltre ai querceti, si trovano anche boschi edificati da carpino nero (Ostrya carpinifolia Scop.), sorbo domestico (Sorbus domestica L.) e acero cretese (Acer creticum L.), generalmente governati a ceduo e in evidente espansione nei pascoli abbandonati. Molto diffuso in quest’ambiente ecologico è il ginepro comune, che invade velocemente tutte le formazioni pascolive e prepara il terreno al reingresso di specie più esigenti. La macchia è molto diffusa e, come già detto in precedenza, è stata originata in gran parte dai disastrosi incendi del 1821-26. Alla sua composizione contribuiscono, più o meno, le stesse specie presenti in Italia, ma arricchite dal possente carrubo (Ceratonia siliqua L.), abbastanza aggressivo nelle zone calde e prospicienti il mare. L’abete compare dai 500-600 m, nei versanti settentrionali, e un centinaio di metri pù in alto in quelli meridionali, e tipicizza tutte le foreste fino ad oltre 2.000 m di quota. Nello stesso orizzonte dell’abete vegeta anche il pino nero (Pinus nigra Arnold), molto diffuso sul Taigeto (versante orientale) e sul Parnon, ma inspiegabilmente assente lungo tutto il versante occidentale e nei massicci centrali interni (Menalo). Questa bella conifera non cresce mai allo stato puro ma la si trova sempre consociata ad abete, acero cretese, ginepro fetido (Juniperus foetidissima Willd) e quercia spinosa.
L’abete greco è, molto probabilmente, una delle specie più antiche nella filogenesi del genere Abies nel bacino del Mediterraneo (Parducci L., 2000). E’ altresì comprovato che l’abete greco è, molto probabilmente assieme all’Abies cilicica Ant. et Koschy, la specie più vicina all’Abies arcaico dal quale derivano tutte le altre specie che sí sono diffuse attorno al mare sopracitato, Abies alba Mill. incluso. Proprio l’elevata frammentazione dell’areale di distribuzione degli Abies “mediterranei”, accompagnata da mutazioni climatiche millenarie e da distruzioni di imponenti superfici forestali da parte dell’uomo, ha fatto sì che molte specie, come ad esempio l’Abies pinsapo Boiss., l’Abies numidica de Lannoy e l’Abies marocana Trabut, si trovassero in condizioni di isolamento genetico al punto da provocare la nascita di razze locali differenziate dal tipo. Nonostante ciò, l’analisi genetica ha permesso di ricostruire, con una certa sicurezza, il legame che ancora esiste tra le diverse specie mediterranee. Per ulteriori notizie circa l’evoluzione genetica del genere Abies nel bacino del Mediterraneo si rimanda al lavoro citato in bibliografia. La larga distribuzione dell’abete in ambienti diversi, quali quelli che si possono trovare in un range di vegetazione compreso tra i 600 ed i 2.050 m, fa sì che l’autoecologia della specie sia molto ampia, variabile e sintomo di una notevole plasticità ecologica. La specie vegeta e si diffonde con successo sui più svariati tipi di suolo: dalle rendzine ai suoli bruni, ai litosuoli. L’accrescimento è lento nei primi 10 anni di vita, poi accelera notevolmente e, nelle stazioni più umide e fertili, il getto annuale può arrivare anche a 50-60 cm di lunghezza. L’incremento in altezza culmina attorno ai 60-80 anni.
Nelle stazioni di vegetazione più basse (600-900 m), l’abete mostra chiari segni di sofferenza, manifestati da portamento più che scadente, invecchiamento precoce e danni da stress idrico abbastanza evidenti. In questi casi l’abete rimane un ospite accessorio di questi consorzi forestali dominati sempre da specie più termoxerofile, come il pino d’aleppo, il cipresso comune e la quercia spinosa. La struttura di questi consorzi è sempre molto irregolare, dato che raramente si tratta di formazioni chiuse. Nei rari casi di foreste mature e a densità normale o colma, l’abete riesce a entrare stabilmente nel consorzio e sembra riuscire anche ad assumere un certo ruolo di “guida”, ma questo dipende dalla frequenza degli incendi, piuttosto frequenti a queste quote. In media, sembra che il tempo di ritorno degli incendi sia di circa 80-100 anni e ciò fa si che tali formazioni forestali siano difficilmente in grado di evolvere verso associazioni piu evolute. In siffatte condizioni, l’abete è una specie che non può essere assolutamente competitiva. Oltre i 900-1.000 m, nelle foreste greche fa la sua comparsa il vigoroso pino nero, spesso associato al pino d’aleppo e all’abete anche a quote inferiori (Parnon) e capace dí resistere facilmente al difficile clima mediterraneo di transizione. A queste quote, l’abete inizia a divenire dominante e si nota con molta evidenza come il pino nero rappresenti solamente un termine di passaggio verso la formazione potenziale di abetine pure, nelle quali il pino e le latifoglie rimangono compresse a ruoli eminentemente accessori e limitate ad aree marginali, quali bancate rocciose e terreni mobili. In questo caso, l’abete non scompare mai e si limita a partecipare al consorzio misto con le altre specie. Tale stato di cose è bene osservabile sul massiccio del Parnon (sopra Tzitzina), ma anche sul Taigeto e sulle montagne della Grecia centrale. Oltre i 1.200 m, la dominanza dell’abete è pressoché assoluta. Il pino nero è diffuso solamente laddove fattori di disturbo impediscono all’abete di escludere le altre specie. Nel presente lavoro, per ragioni di chiarezza si è preferito suddividere le abetine in 7 diverse tipologie, in base ai caratteri ecologici e/o strutturali.
1) Abetine naturali
2) Abetine subalpine
3) Abetine montane
4) Abetine montane miste con pino nero
5) Abetine submontane
6) Abetine miste con latifoglie
7) Abetine secondarie
Distribuzione
L’abete greco è diffuso esclusivamente in territori montuosi e frammentato in nuclei abbastanza estesi. Come ben si sa, nella parte settentrionale del suo arsale di vegetazione l’abete greco entra in contatto con l’abete macedone, che lo sostituisce completamente progredendo verso nord e verso ambienti più freschi e umidi. È difficile tracciare una linea di demarcazione precisa e lo sì fa basandosi su osservazioni soggettive, visto che la nomenclatura ufficiale in merito è piuttosto discordante (Strid, 1986). Personalmente, ho riscontrato la presenza delle ultime inequivocabili piante d’abete greco sui monti Parnaso, Ghiona e Vardoussia, mentre più a nord, in presenza del faggio (Fagus sylvatica L.). i caratteri distintivi dell’abete greco sfumano decisamente verso quelli dell’abete macedone. Come già detto in precedenza, il range di distribuzione altitudinale è compreso tra i 600-700 m e i 2.000-2.050 m. La massima escursione altitudinale si osserva nel Peloponneso, più esattamente sul massiccio del M. Helmos (2.341 m). I nuclei di maggiori dimensioni si trovano nel Peloponneso, sui monti Taigeto (2.404 m), Menalo (1.980 m), Parnon (1.935 m) Helmos e, in Grecia centrale, sul M. Parnaso (2.457 m). È presente anche nell’isola di Cefalonia, sul M. Ainos (1.628 m) donde il nome, e nell’isola di Eubea, sul M. Dirphi (1.743 m). Altrove, la sua presenza è più limitata, ma pur sempre significativa e caratterizzante (M. artemisio, 1.771 m; montagne del Mani, 1.228 m; M. Parnitha, 1.413 m). Infine, sono molto diffusi i gruppetti di piante residue di antiche foreste, che emergono dalla macchia o che sono rimaste confinati in luoghi rocciosi con attorno “il nulla”, come per esempio in alcune aree incendiate dai turchi (M. Arachneo, 1.197 m; M. Didimo, 1.121 m) e nei sassosi pascoli delle propaggini dei monti del Peloponneso.
Abetine naturali
Le abetine naturali di abete greco non vanno intese in senso letterale, ovvero in formazioni naturali e “vergini”, bensì, come foreste o nuclei che non sono mai stati utilizzati, ma hanno ugualmente subito la pressione antropica sotto forma di pascolo e incendi. Vi sono anche numerosi esempi di “bosco vetusto”, soprattutto sulle montagne più meridionali. La discreta presenza di tali formazioni nell’arido e degradato mondo mediterraneo non deve destare alcun stupore poiché, a fronte di una gestione del patrimonio naturale a dir poco “mesozoica”, si rileva una densità di abitanti decisamente inferiore alla media dei paesi più industrializzati e una gestione forestale che è stata sempre subordinata alla pastorizia e all’agricoltura. Pertanto, se da un lato il mondo mediterraneo presenta molto spesso ambienti forestali desolanti, paradossalmente esso può ancora offrire suggestivi scorci di foresta naturale. Tali lembi non si estendono mai su vaste superfici, ma sono più che sufficienti a farsi un’idea di quale fosse la struttura e (parzialmente) la dinamica delle foreste orolile mediterranee. In Grecia, queste formazioni forestali sono generalmente localizzate nelle parti più elevate dei massicci montuosi della regione centrale e meridionale del Peloponneso. In Grecia centrale sono state trovate sul M. Ghiona, sul suo versante occidentale, in cenge rocciose di difficile accesso, mentre in Peloponneso sono relativamente più diffuse. Un bell’esempio si trova nel massiccio del Taigeto, soprattutto sul suo versante orientale e, in parte, anche su quello occidentale. Sono piccole “oasi” d’abete e pino nero, vegetanti su pendii molto ripidi che costeggiano profondi canaloni nei quali è evidente l’azione glaciale quaternaria e dove la neve si conserva fino a luglio inoltrato. L’esposizione varia tra sud-est e nord-est, la quota tra i 1.400 e i 1.800 m. La struttura di queste formazioni è disetanea a gruppi e le piante vetuste sono molto numerose. Il pino nero raggiunge dimensioni elevate, anche 150-180 cm di diametro, mentre l’abete non oltrepassa il metro. La statura non è elevata a causa delle stazioni poco fertili; generalmente non oltre i 15-20 m. La chioma dei pini è tabulare e quella dell’abete appiattita, ma senza il classico “nido di cicogna” dell’Abies alba Mill. La densità è colma nei gruppi meno disturbati da valanghe ed agenti meteorici estremi, mentre è molto bassa nei nuclei che si trovano sui ripidi pendii sottostanti la vetta del Taigeto (Profitis Ilias). In alcuni (pochi) di questi nuclei non ci sono neanche danni da pascolo. Alle quote più elevate, l’abete mostra danni da neve sui rami più bassi e sui palchi esposti a oriente e settentrione. In Grecia le ondate di gelo invernale provengono sempre dai quadranti orientali e sono da ricollegarsi all’anticiclone russo-siberiano, lo stesso che spesso interessa anche i versanti orientali e meridionali della penisola italiana. Sul versante occidentale le abetine naturali sono localizzate esclusivamente sulle rocce del Mavrovouna (1.908 m), allo stato puro e senza pino. Quest’ultimo, ricompare solamente più in basso, dove le utilizzazioni hanno limitato l’espansione dell’abete e favorito specie accessorie e pioniere (Foresta di Vasiliki). Altre belle formazioni naturali si rinvengono più a nord, nella parte alta del bacino dei fiumi Viros e Ridorno. Molto belle sono le abetine naturali dell’Erimanthos (2.221 m), che vegetano sui versanti settentrionali e orientali oltre i 1.600 m, mentre formazioni naturali non sono state notate nelle splendide foreste del Parnon (1.934 m) e del Menalo (1.980 m), facilmente accessibili e molto pascolate.
Abetine subalpine
Questo tipo di formazioni si trova sulle montagne più elevate della Grecia centrale e nel Peloponneso, a quote comprese tra i 2.000 e i 1.600 m. Nella maggior parte dei casi, tali formazioni sono situate in situazioni svantaggiate, quali pendii molto ripidi, canaloni e creste sommitali. L’abete vegeta solitamente ín purezza quando si tratta di popolamenti chiusi, altrimenti sí associa frequentemente ai ginepri comune e fetido, all’acero cretese ed al pino nero, ma quest’ultimo caso si presenta solamente sui monti Taigeto e Parnon. Le dimensioni raggiunte dall’abete sono modeste. Le piante più alte osservate raggiungono a malapena i 15 m a 1.600 m ed i 5-6 m oltre i 1.800-1.900 m. I fattori che limitano lo sviluppo dell’abete a queste quote sono principalmente il vento, che accentua qualsiasi tipo di stress abiotico, e il pascolo. che ha degradato il suolo in maniera impressionante. La rinnovazione è sempre scarsa, ma sembra più che sufficiente a permettere la rinnovazione dei soprassuoli. Si localizza sotto le piante di altre specie nelle chiarie, che non mancano davvero, o nei cespugli di ginepro. Le giovani piante di abete crescono lentamente e assumono, in fase “giovanile”. il classico aspetto a “manicotto” che caratterizza anche il pino loricato (Pinus leucodermis Ant., molto diffuso nella Grecia settentrionale) e che è tanto più marcato quanto più la stazione è elevata. La struttura è coetanea a gruppi ed evidenzia passati trattamenti drastici di tagli a raso. Lo stato vegetativo è discreto negli abeti giovani e adulti ma pessimo per quanto riguarda quelli vecchi. spesso deperienti e invasi dal vischio, molto comune in tutte le abetine della Grecia e nelle abetine dell’Europa meridionale. La longevità dell’abete in questi ambienti non sembra essere molto alta, visto che dai rilievi effettuati sembrerebbe che gli esemplari più vetusti non oltrepassino i 150-200 anni d’età. Come detto sopra, la maggior parte delle abetine subalpine alligna in zone svantaggiate, ma una bella eccezione la si trova nel massiccio del M. Helmos, dove l’abete riesce a raggiungere il piano subalpino in massa ed allo stato puro. Tutto il versante occidentale e settentrionale dell’Helmos è ricoperto da un’abetina pura che inizia molto in basso, a circa 600 m, per terminare ad oltre 1.900. La parte più elevata termina in corrispondenza del gradino che immette nel grande altopiano di Xerokambos, di natura carsico-glaciale, disboscato per ricavarne pascolo e terra da coltivare ed ora abbandonato del tutto e “riciclato” a ski centre. Il piccolo lembo di abetina subalpina ha una superficie di circa 200 ha e abbraccia solamente la spalla sinistra del grande circo glaciale dell’Helmos, terminando con piante isolate proprio nei pressi della stazione di risalita degli skilift. Parte del boschetto è stato distrutto da una pista di servizio per gli impianti sciistici dalle dimensioni a dir poco “esagerate”: 8 m di carreggiata. Una caratteristica dolente delle montagne greche è quella di possedere una viabilità sconsiderata che arriva praticamente ovunque. Con un fuoristrada si può facilmente arrivare in vetta all’Helmos a 2.338 m, così come in vetta al Parnaso a 2.435 m.
La struttura di queste abetine è para-coetanea, formata da un piano dominante di elementi secolari e da un piano subdominante di soggetti maturi o in fase di invecchiamento. La densità è normale o bassa e diminuisce con l’approssimarsi verso il margine del bosco, soprattutto verso i pascoli d’alta quota. La rinnovazione è molto scarsa e si localizza nelle parti piu interne del bosco, ovvero lontano dalle aree più pascolate. La dinamica di questi popolamenti lascia intendere una marcata fase di regresso dell’abete dalle posizioni più avanzate (in senso altitudinale) verso situazioni più “protettive” e meno intaccabili dal bestiame. Tuttavia, come sempre accade in questi casi si notano riusciti esempi d’espansione dell’abetina verso l’altopiano di Xerokambos, sempre preceduta da pingui colonie di ginepro. I giovani abeti, nonostante vengano regolarmente brucati, riescono a reagire e a portarsi al di sopra della portata delle capre. E impressionante notare come l’abete riesca a ristabilire la dominanza apicale e un unico cormo anche dopo decenni di danneggiamento, al contrario delle latifoglie e del pino, che rimangono policormici per tutto il resto della loro esistenza.
Abetine montane
Rappresentano la maggior parte della superficie ricoperta dall’abete greco. Si trovano a quote comprese tra i 1.200 ed i 1.600 metri e sono diffuse un po’ in tutta la Grecia centro-meridionale. A queste quote il clima è decisamente meno ostico di quanto osservato nei due paragrafi precedenti. La ventosità è più bassa e le escursioni ecologiche sono più attenuate. Cionondimeno, il fattore aridità è ugualmente intenso e gli incendi hanno avuto modo di interessare intensamente queste aree boschive. L’abete vegeta vigorosamente in estesi popolamenti, nei quali la conifera domina incontrastata le altre specie che gli si associano. Prima fra tutte il pino nero, che a queste quote si diffonde velocemente nelle zone abbandonate e nei tratti di bosco degradato da fattori biotici ed abiotici, ma che, una volta svolto il suo ruolo di pioniere, cede velocemente (per i tempi naturali) il passo all’abete, del quale si osservano già, in pinete di 30-50 anni, notevoli presenze di giovani piante in ottimo stato vegetativo e perfettamente adattate all’aduggiamento del pino. In base alle osservazioni effettuate in Grecia, si è potuto stabilire che la sostituzione totale delle pinete montane avviene in circa 100-150 anni. L’apparente lentezza del fenomeno è dovuto all’alta longevità del pino nero. Nel massiccio del Parnonas, si riscontrano ancora vecchi pini di oltre 200 anni di età all’interno di floride abetine di circa 100 anni. La struttura di questi soprassuoli è sempre biplana, e l’abete si trova sempre nel piano codominante o dominato dal pino, ma sempre dominante le latifoglie, peraltro molto scarse e sovente circoscritte al longevo platano ed alla cespugliosa (a queste quote) quercia spinosa. La densità è normale o colma, ma nel caso di boschi percorsi dal fuoco negli ultimi 40-50 anni, la densità scende di molto e il bosco diviene rado, con la classica disposizione a “quinte”. L’età media di queste formazioni non è elevata (non oltre i 100-150 anni), perché le utilizzazioni sono abbastanza regolari e l’abete non sembra essere molto longevo. Panorama simile si osserva visitando le abetine del Parnitha (sopra Atene) che allignano su terre calcaree molto degradate. Qui l’abete cresce ancora con vigore, ma ad un attento esame non sfugge la bassa densità dei soprassuoli, quasi al livello di “parco arborato”, e la totale assenza di rinnovazione, segno che il pascolo e l’intensa degradazione pedologica stanno minando seriamente la continuità del bosco su questa montagna. Migliori condizioni si trovano sul versante settentrionale del massiccio, dove il pascolo incide meno ed anche gli incendi si sono ripetuti con minor frequenza. L’unica speranza è riposta nel frugale pino d’aleppo e nella sua capacità di risposta a condizioni pedo-ecologiche svantaggiate per altre specie. Le abetine montane sono quelle che più risentono del pascolo e delle utilizzazioni boschive. Il trattamento per queste formazioni è quello del taglio a buche ma è evidente che in passato sia stato adottato anche il vieto taglio raso con riserve. Applicando il taglio a buche si permette al pino nero di sopravvivere all’interno delle abetine poiché, come già visto in precedenza, questa conifera verrebbe totalmente sostituita dall’abete nel giro di pochi cicli colturali. La rinnovazione delle abetine montane avviene secondo le stesse modalità conosciute e documentate per l’abete bianco. Nella buca, delle dimensioni di circa 500 mq, l’abete inizia a rinnovarsi sul margine o sotto la chioma espansa dei pini che circondano la chiaria. Al centro della buca la rinnovazione è sempre stentata e rada, almeno fino a quando le piante del nuovo ciclo non iniziano a raggiungere dimensioni accettabili (5-6 m di altezza). A questo punto compare la rinnovazione anche al centro della buca, generalmente composta da solo abete. Il pino è sempre numericamente inferiore all’abete e tende a scomparire dal centro del bosco per concentrarsi sui margini, andando a colonizzare le aree adiacenti la foresta. Questo comportamento fa sì che il bosco si espanda seguendo precisi schemi gerarchici, secondo i quali il pino prepara la strada al reingresso dell’abete e, sembrerebbe, delle latifoglie.
Abetine montane miste con pino nero
A differenza delle abetine montane, nelle quali il pino nero riesce ad entrare solamente come ospite di fasi rigenerative di formazioni degradate dall’uomo in questo caso si tratta di formazioni climatiche che non possono evolvere verso abetine pure a causa di fattori biotici limitanti quali rocciosità ed acclività dei pendii montuosi che li ospitano. Questi consorzi misti sono diffusi un po’ su tutte le montagne della Grecia centrale e meridionale, a quote comprese tra i 1.200 e i 2.100 in. Le esposizioni sono variabili così come le pendenze. L’abete e il pino nero danno luogo a soprassuoli misti di una certa spettacolarità, in quanto edificati da piante sempre ultrasecolari, spesso secche e con scarsa rinnovazione. Parte di questi boschi non sono mai stati utilizzati, ma la maggior parte reca i segni di tagli e pascolo intensi. I migliori esempi di bosco misto abete/pino sí trovano nel massiccio del M.Helmos, sul suo versante orientale, su pendii molto acclivi con suolo scarso o assente. Il substrato é calcareo marnoso, molto fratturato e arido. Le quote sono comprese tra i 1.200 ed i 1.600 m. 11 pino nero predilige i pendii assolati e più rocciosi, dove si associa alla quercia spinosa, mentre l’abete domina alle quote maggiori e neí luoghi più freschi, qualche volta curiosamente frammisto al platano. Il portamento delle piante è scadente un po’ ovunque a causa di un pascolo caprino che è stato veramente molto intenso fino a qualche decennio addietro. La statura non oltrepassa i 20 metri per il pino nero, mentre per l’abete si parla di 10-15 metri d’altezza nelle situazioni migliori. La rinnovazione è scarsa e si localizza nelle buche e nelle chiarie.
Abetine submontane
Queste abetine si trovano spesso a cavallo tra il piano mediterraneo e quello montano e sono di non facile identificazione ed interpretazione. Sono diffuse soprattutto nel Peloponneso. dove l’abete entra ìn concorrenza con il pino d’aleppo, la roverella e orno-ostrieto. Esempi molto belli sono stati osservati sul Parnon e sul Menalo. Sul Parnon l’abete scende a 500-600 m ed entra nelle pinete miste con pino d’aleppo, poco pino nero, leccio, olivo (Olea curopaea L.), acero cretese e molta quercia spinosa. La densità di questi popolamenti è normale o colma e le condizioni vegetative sono ottime. Il pino d’aleppo è la specie dominante con un buon 85% di presenza, mentre l’abete è presente con un 1-2% di diffusione. La struttura e sempre disetanea. spesso per piede d’albero, con un piano dominato edificato dalle latifoglie, che sopravvivono facilmente sotto la chioma poco aduggiante del pino d’aleppo. Il pino nero e l’abete sono chiaramente ospiti accessori di queste formazioni forestali, mentre non è chiaro se le pinete siano climaciche oppure rappresentino una fase di ricolonizzazione di boschi di sclerofille danneggiati da incendi, dei quali, peraltro, non si scorge più alcuna traccia. La stessa pineta sovrasta l’orizzonte della macchia mediterranea, derivato umano della possente foresta mediterranea, annientata per far posto alle greggi ed ai campi coltivati. La pineta di pino d’aleppo sfuma gradualmente verso l’alto e gli ultimi esemplari della specie, dal portamento non più ottimale, si rinvengono a 1.200 m di altezza, frammisti agli abeti e ai pini neri.
Abetine miste con latifoglie
Questa cenosi forestale è scarsamente diffusa, poiché l’orizzonte delle latifoglie submontane è quello che ha subito maggiormente l’influsso negativo dell’azione antropica. Si sviluppa tra i 300 ed i 600-700 m, ma talvolta giunge anche oltre i 1.000. L’abete vi è diffuso esclusivamente come specie pioniera e, visto il portamento più che scadente e la senilità precoce, c’è da augurarsi che venga sostituito da altre specie climaciche, quali le querce in genere. Nonostante ciò, la rinnovazione è discreta e la conifera dimostra di volersi adattare ad ambienti veramente al limite delle sue potenzialità, nonostante non sia assolutamente in grado di caratterizzare questo orizzonte di vegetazione. Situazioni simili si osservano nei dintorni di Kalamita (Peloponneso), sul M. Taigeto. sul Menalo (Dimitsana) e sul M. Ghiona e Parnasso (Grecia centrale). Nell’area delle Gole del Lousios si osserva l’abete entrare in contatto con il querceto submontano senza che ci sia un passaggio graduale tra una vegetazione e l’altra, oppure si vede un “orizzonte” di campi coltivati frapporsi tra il sottostante querceto ed il sovrastante abieteto. In entrambi i casi l’uomo ha determinato Io “scollamento” tra la vegetazione, frapponendo i campi coltivati proprio laddove si hanno le migliori condizioni per la vegetazione forestale. Successivamente all’abbandono dei campi, l’abete è riuscito a ricucire il tessuto strappato dall’uomo, discendendo verso il querceto ed infiltrandosi dovunque ci siano le condizioni per espandersi. I luoghi deputati a questo fenomeno sono soprattutto le gole, notoriamente umide, e i pendii esposti a settentrione, donde le abetine miste a platano nei valloni e nelle gole e i querceti che mutano bruscamente in abetine. Questa dinamica può verificarsi a patto che il pascolo sia ridotto a poca cosa e che gli incendi non distruggano i soprassuoli. Esempi di questa distruzione, purtroppo, ce ne sono a iosa. Per vederne uno tristemente esteso basta percorrere il tratto di costa che unisce Corinto a Patrasso ed inoltrarsi nell’interno per osservare il risultato di un disastroso incendio verificatosi nel 2000, che ha annientante migliaia di ettari di pinete, cipressete, querceti ed abetine sui contrafforti dei monti Killini ed Helmos.
Abetine secondarie
Fanno parte di questo gruppo le abetine derivate da rimboschimento e quelle sorte sugli ex coltivi. Le prime sono poco diffuse, poiché nei rimboschimenti viene preferito il pino d’aleppo, più frugale e resistente allo stress idrico nel corso dei primi anni di affrancamento. Molto più diffuse sono le seconde, dato che l’esodo rurale ha colpito anche un paese a vocazione agricola quale è la Grecia. Riconoscere questi popolamenti “sinantropici” è molto semplice ed immediato poiché, percorrendoli, ci si imbatte frequentemente in opere di terrazzamento e in manufatti in pietra in rovina. Tali formazioni possiedono una struttura coetaneiforme. Le piante sono spesso aggregate in gruppetti di 2-3, talvolta molto densi. Tale struttura è la risultante dei processi di ricolonizzazione dei pascoli abbandonati, nei quali si osservano spesso macchioni di ginepro con ciuffi di abeti (o pini) al centro. L’età media è compresa tra i 40 e gli 80 anni. La rinnovazione è scarsa e concentrata nelle rare chiarie o buche. Spesso si incontrano anche rare piante di pino nero e deperienti esemplari di ginepro comune o fetido, a ricordo del passato di arbusteto.
Considerazioni
Come si è visto, l’abete greco è una specie ancora molto presente e dinamicamente attiva nell’edificazione dei consorzi forestali greci. La sua vivacita è anche un chiaro segnale di ricchezza genetica, importante risorsa per una sicura conservazione degli ecotipi stazionali e per una ridiffusione sulle montagne dalle quali è stato eliminato. Lo stato di conservazione delle abetine di abete greco non è ottimale a causa di una pressione antropica ancora troppo pressante. Nonostante le molte situazioni in progressivo miglioramento, molti soprassuoli sono in grave deperimento e regressione, soprattutto alle alte quote. Abbiamo visto che esiste un paradosso secondo il quale molte abetine subalpine di età avanzata sono in progressivo declino, mentre a poca distanza, magari sul versante opposto (Taigeto), si osservano ottimi fenomeni di ridiffusione dell’abete a quote abbastanza elevate (oltre i l.600 m) e magari anche su buoni pascoli. Questa è la tipica situazione che si viene a verificare quando la pressione antropica sta scemando. Il pascolo non è più regolare su vaste superfici e molte aree vengono risparmiate dal brucamento degli armenti, sicché i luoghi peggiori sono ì primi ad essere interessati dal ripopolamento forestale, mentre i migliori saranno interessati per ultimi. La regressione delle abetine subalpine, fenomeno notato anche in altri distretti mediterranei (Corsica), potrebbe trovare causa anche nell’azione sinergica operata tra un generale inaridimento e tropicalizzazione del clima mediterraneo e un profondo processo degenerativo dell’ambiente orofilo mediterraneo indotto dallo scriteriato sfruttamento di cui è stato fatto oggetto. Valutare quanto sia provocato dall’una o dall’altra componente è compito arduo ed improbo, ma è certo che stiamo assistendo ad un generale riposizionamento di alcune cenosi forestali, per poter superare nel migliore dei modi questa “crisi climatica”. Nel corso dell’ultimo secolo, il clima del bacino del Mediterraneo è andato sempre più accentuando la sua componente tropicale a discapito della parte oceanica. Il risultato sono condizioni ecologiche più estreme di quanto non lo siano già nella accezione stessa di “clima mediterraneo”. Questo significa avere precipitazioni più intense ma meno frequenti e quindi meno acqua che percola nel terreno; maggior insolazione come risultato di una minore nebulosità; dilatazione della stagione secca estiva, che oramai dura più di tre mesi consecutivi. Non fanno testo i temporali estivi convettivi che si verificano d’estate nelle aree interne, proprio laddove si hanno le foreste mesofile. Infatti, questi sono proporzionalmente inferiori a causa di una maggiore “vivacità” delle correnti anche durante il periodo estivo. La maggiore frequenza di irruzioni di aria fredda secca — durante la stagione invernale, proveniente dai balcani, causa fenomeni di gelo e stress idrico nelle piante e limita il suo influsso ai soli versanti orientali (stau) delle aree interessate (flusso laminare molto sottile). L’estate, al contrario, è sempre più interessata dall’anticiclone africano che convoglia masse di aria secca e torrida fin sull’Europa centrale, con temperature molto elevate e venti caldi e secchi. Oltre a questo, la ventosità, notoriamente elevata in questi paesi, è ancora più intensa e pregiudizievole per un’affrancamento duraturo delle specie più mesofile. In sintesi, la tendenza ad una diversa dislocazione spaziale delle formazioni forestali orofile è un dato di fatto. Tale fenomeno si nota perfettamente anche nelle faggete sud-europee e non solo nelle foreste di conifere montane. Un generale regresso delle specie mesofile, a tutto vantaggio di quelle più xerotolleranti, è visibile in Grecia così come in Turchia o in Italia. In Italia, le faggete d’alta quota sono sofferenti e stentano a rinnovarsi (Rovelli E., 2000), soprattutto nelle esposizioni meridionali e sui substrati calcarei, proprio laddove i fenomeni di ridiffusione dei pini (Pinus leucodermis Ant.) sono più marcati. È chiaro che una formazione forestale è tanto sensibile alle variazioni climatiche quanto più si trova fuori dal suo climax e che molte abetine greche sono situate in orizzonti posti ai limiti della loro zona ottimale di vegetazione (stante le condizioni pedoclimatiche odierne). In base a ciò, non è facile comprendere quali siano i limiti di diffusione dell’abete greco nella situazione biolimatica attuale, ma sembra che questa bella conifera non possa certamente rappresentare una specie forestale adatta ad occupare tutte le nicchie ecologiche della montagna mediterranea greca. Attualmente, i limiti gli sono imposti dall’attività pastorale e dalla mancanza e/o carenza di suolo di molte località montane. L’aridità sembra essere un fattore secondario, in quanto, abbiamo visto, l’abete è sufficientemente xerotollerante per riuscire a diffondersi in molte plaghe, magari ricorrendo all’associazione preziosa con il pino nero.
Conclusioni
Al termine di questa indagine conoscitiva sulle condizioni di vegetazione e diffusione dell’Abies cephalonica Loudon, emergono le solite problematiche comuni a tutti gli altri paesi circunmediterranei. La riduzione, talvolta molto pesante nei termini di omeostasi e conservazione di ecosistemi forestali, è stata impressionante. La superficie boscata di molti paesi mediterranei è ridotta a livelli infimi e la qualità delle poche “foreste” (termine spesso eufemistico) rimaste è a livelli bassissimi. Quello che appare essere diventato uno “standard” dei boschi orofili circunmediterranei è la perseverante bassa densità media dei popolamenti, da alcuni intesa come una risposta all’aridità (Giacobbe, 1969), mentre, invece, è solamente una diretta conseguenza del pascolamento e della degradazione pedologica. Le abetine greche sono certamente più fortunate delle lontane abetine mediorientali o nordafricane. In Medio Oriente, ovvero Libano e Siria, le abetine sono ridotte al lumicino, mentre sono ancora relativamente diffuse nella Turchia meridionale. Diversa sorte per l’Abies numidica De Lannoy, circoscritto oramai al solo versante settentrionale del M. Babor (2.051 m) in Algeria, e per l’Abies marocana Trabut, ridotto a vegetare su poche montagne del Rif marocchino. Molte di queste formazioni forestali sono state annientate nel corso dei millenni per ricavarne legname, da ultimo nel corso della seconda guerra mondiale, ma la maggior parte sono state ridotte in cenere nel corso delle guerre e cancellate per far posto a pascoli che ora si presentano allo spettatore come deserti pietrosi. Riesce difficile immaginare che molti monti della Grecia, del Libano, dell’Algeria e di altri paesi prospicenti il Mediterraneo siano stati ricoperti di floride foreste di querce, cedri ed abeti quando ora, in quegli stessi luoghi celebrati da poeti e narratori di duemila anni fa, non crescono neanche le specie erbacee più xerotolleranti. Scrivevano i romani sulle loro carte del Nordafrica “Hic sunt leones”. E evidente che i processi macroscopici di desertificazione non siano imputabili alla distruzione delle foreste ed alla degradazione degli habitat di prateria, ma è certo che tali eventi siano stati amplificati dalla mano improvvida dell’uomo. In Siria e Libano sono ancora visibili i bolli imperiali che delimitavano i confini delle foreste sacre e/o protette. Nessuno di questi riferimenti si trova ancora all’interno delle foreste. Dall’analisi delle immagini satellitari ci accorgiamo che la stragrande maggioranza dei territori e stata denudata e le foreste ricoprono superfici inferiori al 10% , contro un potenziale che non dovrebbe essere inferiore al 50% . Certamente, il clima segue cicli millenari che non hanno nulla a che fare con l’uomo, ma la distruzione delle foreste, soprattutto di quelle che si trovano aí limiti o poco al di fuori del loro climax, provoca una inesorabile e, stante le condizioni climatiche attuali, irreversibile regressione verso ecosistemi più semplificati e più distanti dal climax teorico.
SUM MARY
In thís article the author describes the characteristics of Loudon Ahies Cephalonica forrnations in Greece. Analyses of natural populations of native Greek firs reveal a striking vivacity of species. The Greek fir stili presents. in fact. a notesorthy genetic variety which has allowed it to adapt fairly well to the difficult ecologica’ conditions of its natural Mediterranean habitat. surviving continued and persistent human pressures. Furthermore, in this report., the author describes the different varieties of the Greek fir type. dìviding them into categories on the basir of their altitudinal and ecologica’ circumstances. Finally. existing meteorologica’ conditions. which witness an increase within the Mediterranean climate of certain continental features. that is, less rainfall and an increase in windiness. are highlìghted.
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