La presenza dell’Abies alba Mill. in Corsica ha attratto l’interesse di molti studiosi (Briquet, 1910; Roy, 1924; Gamisans 1977, 1981, 1985) soprattutto francesi. I lavori risalgono, per la maggior parte, ai primi decenni del secolo e quanti hanno scritto successivamente si sono limitati a riportare quegli stessi dati. Nel presente lavoro tutte le osservazioni sono state effettuate direttamente, visitando ciascuna stazione conosciuta e, talvolta, trovandone di nuove.
La Corsica è situata al largo delle coste toscane e liguri. Dista dalle coste toscane 83 km e 155 km da quelle liguri. La Francia è più lontana, 180 km in direzione nord-ovest. La superficie dell’isola è di 8.722 kmq, pari pressappoco a quella dell’Umbria. È la quarta isola del Mediterraneo, per dimensioni, dopo la Sicilia, la Sardegna e Cipro.
L’intera isola è percorsa da una catena montuosa disposta longitudinalmente che, nel versante occidentale, precipita direttamente in mare. Questa particolarità, unitamente al fatto che l’asse della catena è disposto secondo i meridiani, fa sì che il clima presenti aspetti del tutto particolari.
Le precipitazioni sono mediamente abbondanti, in particolare nel settore centro-meridionale. A Vizzavona (950 m) cadono annualmente in media 1.560 mm di pioggia, più di 100 mm nei mesi estivi. La temperatura media annua varia dai 14,7° C di Ajaccio, situata sulla costa, ai 9° C di Papajia a 1.050 m. Per le zone poste a quota più elevata mancano stazioni di misurazione ma possiamo ipotizzare una temperatura media sensibilmente più bassa, sui valori di alcune località prealpine. Le precipitazioni nevose sono cospicue, proporzionalmente più abbondanti che sull’Appennino centrale. Sotto le vette più elevate permangono nevai per l’intero anno, anche nelle siccitose annate del 1992 e 1993. La posizione dell’isola fa sì che molta umidità venga scaricata sui suoi rilievi prima di giungere in prossimità delle coste italiane. La morfologia dell’isola è molto accidentata. Le montagne raggiungono altezze considerevoli (Monte Cinto 2.710 m, Monte Rotondo 2.622 m, Monte Renoso 2.382 m). L’aspetto dei rilievi è fortemente condizionato dalla natura litologica del suolo che determina forme assai aspre. Le valli sono generalmente incassate, tortuose; frequenti le gole. L’idrografia è quanto mai irregolare, ma la natura impermeabile del substrato permette la formazione di un reticolo idrografico molto sviluppato.
L’altitudine media dell’isola è di 568 m sul livello del mare: 127 più della Sicilia, 224 più della Sardegna. Un quinto del territorio è situato ad una altezza superiore a 1.000 m.
Le foreste della Corsica coprono una superficie di 252.000 ha.
A partire dal livello del mare, nella zona fitoclimatica del Lauretum, incontriamo la macchia mediterranea, composta principalmente da leccio (Quercus ilex L.), corbezzolo (Arbutus unedo L.), lentisco (Pistacia lentiscus L.), fillirea (Phillyrea angustifolia L.), mirto (Myrtus communis L.), sughera (Quercus suber L.) ed erica (Erica arborea L.). In questo orizzonte compare spesso anche il pino marittimo (Pinus pinaster Ant.) e sporadicamente il pino d’Aleppo (Pinus halepensis L.).
Nella zona del Castanetum, a partire dai 400-500 fino agli 800-900 m, il pino marittimo inizia a diventare la specie dominante, anche se associati continuano ad esserci il leccio, la roverella (Quercus pubescens L.), l’orniello (Fraxinus ornus L.), la rovere (Quercus petraea Mattuschka Liebl.) il castagno (Castanea sativa Mill.). Più in alto, compare il pino laricio (Pinus pigra Arnold subsp. laricio Maire), la specie forestale più diffusa sulle montagne corse dagli 800-1.000 m fino ai 1.600¬1.700 m. Assieme al pino laricio vegetano la betulla (Betula pendula Roth.), l’acero di monte (Acer pseudoplatanus L.), il sorbo degli uccellatori (Sorbus aucuparia L.) e l’ontano napoletano (Alnus cordata Loiss). Una citazione a parte merita il faggio (Fagus sylvatica L.) che troviamo su tutti i gruppi montuosi dell’isola, ad eccezione delle montagne a nord di Calacuccia. L’abete compare sporadicamente a partire dai 700-800 m; la sua massima diffusione si ha intorno ai 1.200-1.500 m. In alcuni casi arriva, isolato, fino a 1.800 m. L’abete possiede una maggior diffusione rispetto al faggio e questo appare evidente osservando la cartina allegata. Il limite superiore del bosco, in Corsica, si attesta intorno ai 1.850 m, 50 m inferiore al probabile limite potenziale.
Diffusione attuale dell’abete
L’abete bianco manca totalmente sui monti della porzione più settentrionale dell’isola (“il dito”) e nella regione della Castagniccia.
Massicci del M. Padro e M. Corona
I primi nuclei d’abete che incontriamo, procedendo da nord verso sud, sono quelli della foresta della Melaja. Qui l’abete vegeta sul versante settentrionale della Cima all’Altare, tra i 1.000 ed i 1.500 m. Le piante sono tutte vecchie e cadenti, di aspetto solenne, frequenti gli esemplari schiantati. L’abete si associa con il pino laricio e la betulla. A causa della forte pressione esercitata dal pascolo la rinnovazione è quanto mai scarsa.
Nell’adiacente foresta di Tartagine l’abete è più sporadico. Infatti si incontrano poche piante, tra gli 800 ed i 1.400 m, ascrivibili alla fase giovanile e matura. La rinnovazione è scarsa. Rilevante è la presenza di una vecchia pianta di abete isolata tra le betulle, al di sopra del bosco, a 1.600 m. Ad occidente, nel circo di Bonifato, l’abete è abbastanza diffuso tra gli 800 m ed i 1.600 m. Nella zona attorno alla Bocca di Erbaghiolu l’abete entra in associazione con il leccio ed il pino marittimo, a 800 m, sia nella fase adulta che in rinnovazione. Alcuni nuclei sono abbarbicati tra le rocce, in formazione quasi pura. La maggior parte degli esemplari sono adulti o vecchi, soprattutto quelli in parete. Degne di nota, come per la foresta di Tartagine, sono le numerose piante che vegetano isolate al di sopra del limite attuale del bosco; talvolta persino sulle creste, come nel caso della Crete du Muntunaghiu, ad oltre 1.600 m di altezza.
Massiccio del M. Cinto
Piccoli nuclei di abete si trovano nella regione del Filosorma, nel bacino del fiume Fango. Anche qui l’abete si associa con il pino marittimo, il pino laricio ed il leccio, in una formazione scarsamente alterata da interventi antropici. Nella foresta di Carozzica, sotto il Monte Cinto, non c’è traccia di abete. Le poche piante citate da Briquet, a fine ‘800, sono scomparse. Più a Sud si estende la famosa foresta demaniale di Valdu Niellu: vasta pineta con lembi di faggeta estremamente degradata alle alte quote. L’abete è presente sia nella faggeta sia nella pineta, generalmente con esemplari isolati, spesso decrepiti o secchi in piedi. La rinnovazione non è mai abbondante, tranne le poche aree che sono state recintate a protezione del pascolo. Qui la rinnovazione è abbondante e promettente, sempre mista con il faggio. In tutta la foresta i danni da pascolo sono ingentissimi. Altre piante crescono nella foresta del Cavallo Morto, ad oriente della Punta Artica. Pochissimi esemplari si trovano anche sotto il Capo Meolato a circa 1.500 m. In questo caso l’abete si associa al pino laricio, non essendo presente il faggio. Complessivamente nel suddetto comprensorio l’abete vegeta tra i 1.200 ed i 1.600 m. Diversa situazione osserviamo nella foresta di Aitone, nella quale le prime piante di abete si incontrano sotto la Maison forestiere d’Aitoni, a meno di 1.000 m e le ultime a 1.500 m, sotto il Capu di Melu. In questo bosco sia il faggio che l’abete vegetano con maggior vigore e, nonostante il trattamento a taglio raso ostacoli la rinnovazione, le due specie riescono a contrastare il pino laricio. evidente che, se i forestali non deprimessero questa tendenza, l’abete ed il faggio soppianterebbero facilmente il pino laricio. La rinnovazione d’abete è molto abbondante. Sotto le pinete si ha un piano dominato costituito in larga maggioranza di abete, che mostra discreti accrescimenti in altezza. Anche qui i danni da pascolo sono ingentissimi, soprattutto nella parte più elevata del bosco, dove il faggio e l’abete sono in netta regressione a vantaggio del pino laricio, della betulla e dell’ontano.
Massicci dei M. Rotondo e d’Oro
Nel bacino del Tavulella sopravvivono poche piante d’abete in precario stato vegetativo, in luoghi largamente percorsi da incendi.
Più a Sud, nella parte alta del bacino del Liamone e del Botaro, le piante segnalare da Briquet sono scomparse. La valle del Tavignano, ospita la foresta demaniale omonima e la foresta comunale di Corte. Gran parte dei soprassuoli sono edificati dal famoso pino marittimo di Corte, ma, nella parte alta, oltre al pino laricio, compaiono anche il faggio e sporadicamente l’abete. Si tratta di esemplari isolati situati sotto la Punta di Castelli. La rinnovazione è assente. Nella parte più alta il faggio vegeta allo stato puro. Questi soprassuoli sono molto danneggiati dal pascolo e dagli incendi. Nella foresta di Restonica l’abete è molto raro. Sono state osservate pochissimo piante, tutte adulte. La rinnovazione è scarsa. La specie è più abbondante nei bacini dei fiumi Cruzzini e Grosso. I popolamenti puri osservati da Roy e Briquet, quasi cent’anni fa, si sono molto ridotti, sia come estensione che come densità. Infatti, la maggior parte dei nuclei sono radi, in pieno disfacimento e la rinnovazione è continuamente ostacolata dal pascolo. L’abete è presente intorno ai 1.100-1.200 m, più in alto è dominio esclusivo del faggio e dell’acero di monte. Nella adiacente vallata del Rio Manganello, nella foresta comunale di Vivario, il faggio, governato ad alto fusto, vegeta con notevole vigore, dando luogo a formazioni chiuse di notevole bellezza, soprattutto alle falde del Monte d’Oro. In questa faggeta è stata riscontrata l’esistenza di sole 3 piante di abete, situate intorno ai 1.000-1.200 m, alte una ventina di metri; una di queste è secca in piedi (1989). Nuclei più consistenti di abete si trovano confinati, in pendii molto acclivi, sotto la Bocca Mazzola, a più di 1.500 m. I popolamenti sono molto radi, probabilmente a causa del pascolo. La rinnovazione è scarsa, più abbondante nella faggeta e nella sottostante pineta. Varie zone sono state percorse dal fuoco. Poche piante sono rimaste sotto la P. di Petra Facciata, nella Foresta Comunale di Venaco.
Massiccio del M. Renoso
Nella foresta demaniale di Vizzavona, edificata dal pino laricio e dal faggio, in passato governato a ceduo, l’abete è presente solamente con rari individui giovani. Un solo esemplare adulto, peraltro secco, è stato osservato sotto la Punta Coppa. Il faggio tende lentamente a sostituire il pino, soprattutto nelle aree più fresche. Ad occidente, nel vallone di Capjaiola, l’abete è confinato su balze rocciose, sotto la Punta Sfronditata, ad oltre 1.600 m di altezza. Molti esemplari sono secchi in piedi. Il bosco è edificato da faggete pure. In alto, estesi consorzi di ontano verde (Alnus viridis (Chaix) DC subsp. suaveolens (Reg.)) ricoprono i versanti montuosi.
Video con le “Sapin Geant”, l’abete gigante della Corsica: Sapin geant
Video del bosco misto di faggio e abete della Foresta di Marmano:Bosco Marmano
Alle falde orientali del monte Renoso, si estende la foresta comunale di Ghisoni, costituita da pinastro, pino laricio, faggio e abete. L’abete compare al di sopra dei 1.000 m ed arriva sino al limite superiore del bosco, intorno ai 1.750 m. A Sud del bosco comunale di Ghisoni troviamo la grande foresta demaniale di Marmano. Anche in questo caso le specie edificatrici sono il pinastro, il pino laricio, il faggio e subordinatamente l’abete. Il faggio è diffuso solamente nel versante occidentale e sotto la Punta Bocca dell’Oro; più a Nord si incontrano il pino laricio, il pinastro e l’abete (nel tratto limitrofo alla foresta di Pietra Piana). L’abete vegeta in tutta la foresta, incluse le zone dove c’è il faggio. La sua area di diffusione è compresa tra i 900 ed i 1.750 m, associato al faggio e al pino laricio ad Ovest, puro ad Est. Anche in questo caso i nuclei puri sono situati in luoghi inaccessibili, abbarbicati alle rocce. La rinnovazione è diffusa, ma si afferma soprattutto allo scoperto. La maggior parte degli esemplari d’abete è di età molto avanzata, certamente superiore a 250-300 anni. La statura non oltrepassa i 25-30 m. La faggeta, in parte assimilabile ad un ceduo invecchiato, è di mediocre portamento. I faggi sono nettamente più bassi dell’abete. Nella foresta di Marmano, non mancano angoli di bosco molto suggestivi, come il boschetto di abeti colossali nella parte alta del corso del fiume omonimo. È questo un piccolo lembo di bosco (6 ha circa), situato a 1.200 m sotto il Monte Grosso; è edificato per il 60% dall’abete e per il 40% dal faggio, ingombro di piante colossali, piante secche in piedi e piante atterrate. Mentre lo si attraversa si ha l’impressione di trovarsi in un cimitero di giganti. Alcune piante arrivano a 45 m di altezza e superano facilmente il metro di diametro. Una pianta, in particolare, denominata “Le Sapin Geant” misura 6,30 di circonferenza e, fino al 1988, toccava i 53 m di altezza! Poi, nel 1989 il vento ne stroncava l’apice per circa 10 m, più altri 6-7 m nell’inverno 1992-93. Probabilmente questo lembo di bosco è stato oggetto di tagli moderati, perché oggetto di conflitti di proprietà da parte dei due comuni. E’ l’unico tratto di foresta corsa a presentare ancora una fisionomia di fustaia stramatura a densità colma, attualmente definibile perfettamente come foresta vetusta (Old Growth Forest). L’età delle piante è molto avanzata: su una ceppaia di 80 cm di diametro sono stati contati più di 400 anelli! È interessante notare come l’abete vegeti in maniera più consistente solo nella parte di foresta di proprietà del Comune di Ghisoni, mentre già pochi metri oltre, in comune di Palneca, si riduca a piante isolate nella faggeta.
I due settori della foresta sono molto diversi anche dal punto di vista strutturale. Nel bosco di Ghisoni, la faggeta è stata governata parzialmente ad alto fusto, di aspetto molto irregolare ed in parte a ceduo, oramai molto invecchiato. Nella foresta di Palneca, al contrario, la faggeta è stata interamente governata ad alto fusto coetaneo, anche se è verosimilmente più degradata. Le strutture attuali sono il risultato di tagli molto intensi, ma antichi, che hanno eliminato tutte le piante di notevoli dimensioni, in particolare di abete. Attualmente i due boschi sono in buone condizioni vegetative, ma il pascolo danneggia ed ostacola la rinnovazione di faggio ed abete, soprattutto alle alte quote; di conseguenza i vuoti tendono ad allargarsi sempre di più. Sul versante settentrionale del monte Grosso, in comune di Palneca, le poche riserve di abete, sono deperenti o addirittura secche. Evidenti i segni di passati incendi che, a più riprese, hanno percorso alcuni tratti delle foresta L’abete è ampiamente disseminato nel ceduo di faggio e nella fustaia, soprattutto nei punti maggiormente illuminati, ma si nota come, fino ad una cinquantina di anni fa, questo fosse relegato solamente lungo le vallette, in prossimità dei corsi d’acqua.
È interessante notare come l’abete attualmente tenda ad insinuarsi nel ceduo invecchiato di faggio, dal quale era stato eliminato in precedenza. Un altro centro di vegetazione dell’’abete è rappresentato dalla foresta di Punta-Niella, limitrofa alla stazione sciistica del Plateau d’Ese. L’abete occupa la porzione medio – inferiore (700-1.300 metri) della faggeta, probabilmente un ceduo invecchiato, con piante mature e stramature. La rinnovazione è abbondante e, come già accennava il Briquet, “discende la valle del torrente Ese per invadere i popolamenti di pino marittimo della foresta Pineta”. Il pascolo arreca notevoli danni alla rinnovazione di faggio ed abete. Ad oriente della Foresta di Marinano, sotto le punte Ciccia e Taoria, si estende un altro importante nucleo di vegetazione di abete bianco, quello della foresta di Pietra Piana. In questa stazione l’abete cresce perlopiù allo stato puro, in minima parte associato al pino laricio. Degna di nota appare la totale assenza del faggio, però presente a non più di 2 km di distanza in linea d’aria. Le prime piante di abete si incontrano sui versanti esposti a settentrione intorno ai 650 metri (in piena macchia mediterranea) sotto forma di rinnovazione. A partire dai 1.000 metri, compaiono i primi esemplari adulti, lungo i fossi; tra i 1.300 ed i 1.500 m l’abete è frammisto ai pini larici e poi, al disopra dei 1.500 m, in popolamenti puri fin sulla vetta più alta, la Punta Ciccia, a 1.683 m. Purtroppo gran parte dei soprassuoli esistenti tra i 1.500 ed i 1.600 m, sono stati distrutti da un incendio avvenuto una ventina di anni fa. Nonostante questo, a causa dell’elevata rocciosità del luogo, alcuni lembi di abetina pura si sono salvati. Un nucleo di questi, il più consistente, non mostra tracce di utilizzazioni recenti e, data l’estrema asperità del luogo, si può ritenere che si tratti di una formazione allo stato originario, riferibile ad una “Primary Old Growth Forest”. La superficie si aggira intorno ai 7-8 ha. Le piante che lo formano sono vecchie e cadenti, alcune sradicate dal vento e dalla neve. A causa dell’elevata rocciosità del sito, del pascolo caprino e della vetustà delle piante, la rinnovazione è scarsissima. Le piante più alte non superano i 20-22 metri ed i 70 cm di diametro. Nelle immediate vicinanze, su una ceppaia di 60 cm, sono stati contati 320 anelli. Al di fuori dell’area i forestali francesi hanno rimboschito alcuni tratti incendiati con betulla e pino laricio, in mezzo ai quali si rinviene qualche piantina d’abete. Scendendo di quota l’abete si mescola al pino laricio in formazioni molto vecchie, di spettacolare bellezza. Gli esemplari di abete sono imponenti e maestosi. La rinnovazione è discretamente abbondante e mostra incrementi in altezza sostenuti. L’abete in questo ambiente tende a sostituire il pino. Nel piano dominato si incontrano spesso monumentali esemplari di rovere, leccio e roverella.
Massiccio de l’Incudine
Più a Sud l’abete scarseggia; compare sporadicamente nelle faggete della foresta demaniale di Saint Antoine, con esemplari vecchi e cadenti e scarsa rinnovazione. Il bosco è stato utilizzato agli inizi del secolo a taglio raso con riserve. Attorno al Monte Occhiato, nella faggeta molto degradata, stanno alcuni grandi abeti, quasi tutti morti. La rinnovazione è scarsa. Nella grande faggeta di U Coscione vegetano pochissime piante cadenti d’abete, nel settore settentrionale, in località “Créte de Lattone”. Nella foresta comunale di Zicavo, sotto il Monte Malo, al di sopra della faggeta, poche piante di abete sono localizzate in corrispondenza dei dirupi. In questa foresta il faggio raggiunge, nell’isola corsa, il suo limite meridionale di diffusione. Ad Est, nella grande foresta demaniale di Tova, l’abete è localizzato sulle pareti di aspetto dolomitico alla testata del bacino del torrente Fiumicelli e Ruisseau, associato sporadicamente al pino laricio. L’aspetto di questi popolamenti è semplicemente grandioso, poiché la maggior parte delle piante è abbarbicata alle rocce, ovvero in piccole nicchie e cenge. L’esposizione prevalente è ad oriente, ma molti nuclei sono esposti nettamente a mezzogiorno.
La difficile accessibilità dei siti non ha permesso una visita diretta, ma a distanza è stato possibile stabilire che si tratta di soprassuoli apparentemente disetanei, di accrescimento assai lento. Probabilmente le piante più vecchie hanno età plurisecolari. Queste stazioni si trovano ad altitudini comprese tra i 1.400 ed i 1.750 m. Un raggruppamento cospicuo di abete in roccia è ben visibile dalla carrozzabile Solaro-Col di Bavella, in direzione della Punta di U Pargulu. È interessante notare come l’abete rimanga confinato al di sopra del limite inferiore delle pareti rocciose, rifuggendo, apparentemente, le aree più fertili occupate dal pinastro ed in parte dal pino laricio. Molto probabilmente, i soprassuoli di pinastro sono secondari ad altre formazioni climaciche annientate da incendi trascorsi. Nuclei di abete allo stato naturale si trovano racchiusi entro i profondi ed aspri canali compresi tra l’Incudine ed il Colle di Bavella. Si tratta di abetine, talvolta miste a pino laricio, di incomparabile bellezza, vera espressione dell’Urwald. Al loro interno non si rinvengono tracce di utilizzazione, né recente, né antica. Sono, sicuramente, gli unici esempi di formazioni di abete rimaste allo stato primigenio nell’isola; meravigliosi esempi di foreste vetuste primarie (Primary Old Growth Forest). Altre piante sparse di abete si ritrovano all’interno della pineta, sul versante opposto, a quote nettamente inferiori (1.200-1.300 m), sotto la Punta Velaco. In questo caso la rinnovazione è sporadica. Altri nuclei di abetine pure sono presenti sulle cime di U. Ferru e Quercitella, a 1.400 -1.450 m. Si tratta di popolamenti non estesi, in precarie condizioni vegetative, apparentemente coetanei, con assenza pressoché totale di rinnovazione, mai utilizzati.
Monti di Cagna
Gli ultimi nuclei di abete, in Corsica, si trovano sui Monti di Cagna, a quote comprese tra i 1.000 ed i 1.300 m. Anche in queste stazioni prevalgono i nuclei insediati su roccia, con assenza di suolo. Le piante sono tarchiate e ramose, molto vecchie. La rinnovazione è scarsa, localizzata allo scoperto e la statura è piuttosto bassa (15-20 m). Lo stato vegetativo di queste piante, martoriate dalla violenza del vento e dalle bufere di neve, è veramente impressionante. La chioma delle piante è sempre deformata a bandiera e sono assai frequenti gli esemplari schiantati, cimati e sradicati dalla violenza degli agenti atmosferici. Sui monti di Cagna l’abete si associa al pino marittimo, raramente al pino laricio. Non è da escludere l’esistenza di altri nuclei di abete sui massicci secondari.
Da quanto detto sopra appare chiaro che in Corsica, l’abete bianco , tranne rare eccezioni, è complessivamente in fase di regressione abbastanza pronunciata. La maggior parte dei soprassuoli, puri o con partecipazione di abete, sono di età molto avanzata. L’età media delle piante dominanti è generalmente compresa tra i 150 e più di 500 anni; si tratta, perciò, di esemplari molto vecchi. Ciò che colpisce maggiormente è la scarsezza di piante giovani e adulte; probabilmente è la conseguenza di una pressione antropica che è venuta attenuandosi solamente in questi ultimi decenni. La rinnovazione avviene sia sotto copertura (pini, faggio, leccio) che allo scoperto. Nelle abetine pure la rinnovazione si afferma soprattutto nei vuoti e laddove la densità della copertura è bassa. Le giovani piantine resistono facilmente alla siccità estiva, anche se nei lunghi più umidi l’accrescimento è più rapido. Nelle foreste dell’isola, l’abete non dimostra d’avere particolari preferenze nell’associarsi con altre specie. Infatti, in relazione all’altitudine, l’abete si aggrega con tutte le altre specie forestali degli orizzonti interessati. Troviamo così l’abete frammisto al leccio (Calenzana-Bonifato), al pino marittimo (Cagna), al pino laricio (Pietra Piana, Tartagine, ecc.), al faggio (Valdu Niellu, Aitone, Marmano, ecc.), all’ontano odoroso ed alla betulla; questi ultimi due casi si verificano quanto l’abete è in fase acuta di regressione. Non dimentichiamoci, però, dell’esistenza di tratti di abetina pura, situati alle quote più alte. Probabilmente rappresentano le ultime vestigia di vasti popolamenti collocati oltre faggete, distrutti dall’uomo per ampliare le aree pascolive in alta montagna. In questi nuclei, abbiamo visto, la rinnovazione è sempre scarsa o assente. Quando questi popolamenti si trovano in luoghi accessibili al pascolo, lo stato di degradazione dei soprassuoli è molto avanzato; nel caso di stazioni rupestri, il processo di rinnovazione delle formazioni è molto lungo, ma lo stato di conservazione dei soprassuoli è soddisfacente. In tutta l’isola è evidente il “ritiro dalle creste” del bosco di faggio ed abete e la conseguente avanzata della “macchia” ad ontano odoroso e betulla. L’attuale distribuzione geografica dell’abete in Corsica, è del tutto casuale. Infatti lo troviamo in certi luoghi dove non immagineremmo mai di trovarne, mentre in altre zone, apparentemente idonee alla sua vegetazione, non se ne trova traccia. È chiaro che la spiegazione, più che bio-ecologica, è umana, ovvero, il motivo è da ricercare nell’impatto antropico sul territorio.
In Corsica, come del resto in tutto il bacino del Mediterraneo, l’azione dell’’uomo, complice il clima, ha favorito e favorisce da millenni, la regressione delle specie forestali mesofile per favorire quelle xerofile. Nell’isola è probabile e lo stato dei soprassuoli lo conferma, che più il fuoco ed il pascolo che la scure, abbiano contribuito a ridurre i popolamenti di faggio ed abete nello stato in cui oggi li osserviamo. Questo processo, iniziato molti secoli orsono, continua tuttora attivissimo, interessando anche altre specie forestali, come l’agrifoglio (Ilex aquifolium L.) il tasso (Taxus baccata L.), l’ontano napoletano, la roverella e spesso lo stesso leccio. Queste, infatti, sono spesso relegate in prossimità di corsi d’acqua (agrifoglio e ontano napoletano), in roccioni isolati (tasso – lo stesso fenomeno si osserva in Italia, sull’Appennino centrale), oppure in pochi monumentali e deperienti esemplari sotto floridissime pinete (rovere, roverella e leccio). L’azione concomitante del fuoco, del pascolo e delle utilizzazioni intensive ha portato anche a una degradazione dei suoli veramente impressionante. In molti casi questi sono inesistenti o estremamente superficiali, inetti a garantire un substrato idoneo per specie esigenti quali sono il faggio e l’abete, ma sufficienti a permettere ai pini, ed alla betulla di invadere i soprassuoli di faggio ed abete, non appena la copertura di queste formazioni si riduce di densità.
Evoluzione dei popolamenti d’abete
Nella stragrande maggioranza dei casi l’abete non forma soprassuoli chiusi, ma dà luogo a strutture a “parco”. Sono ancora evidenti i segni dei passati tagli, avvenuti, in molti casi, più di settanta anni fa. Si osserva ancora come tutti i boschi ad alto fusto dell’isola vennero trattati con il taglio raso con riserve, in particolare per le pinete. Successivamente, la difficoltà di rinnovazione delle faggete e delle abetine ha favorito il diradamento dei soprassuoli ed il conseguente ingresso di specie meno esigenti come i pini, la betulla e l’ontano verde (questo alle alte quote). Nella foresta di Marmano, in particolare, è ben visibile l’opera colonizzatrice dei pini in zone occupate precedentemente da bosco misto di faggio ed abete e percorse dal fuoco, nel 1970 ed in anni successivi. Ciò appare evidente percorrendo la strada che, risalendo le pendici orientali del Monte Renoso, attraversa località percorse da incendi. Nella parte più bassa la faggeta è ancora chiusa (800-1.100 m), ma, dopo pochi chilometri, il faggio lascia bruscamente lo spazio ai pini marittimo e laricio (1.100-1.300 m); più avanti anche la pineta, incendiata, si dirada per lasciare il posto a una prateria, colonizzata dagli arbusti tipici della macchia mediterranea (1.300-1.500 m). Infine, più in alto (1.500-1.600 m), ricompare la faggeta, sottoposta a taglio raso con riserve, a densità molto bassa, in evidente fase regressiva. Al limite superiore del bosco, in questo caso a 1.650 m, un grande abete monumentale (1,50 m di diametro) tra i faggi, indica la passata esistenza di un bosco misto. È evidente che i pini colonizzano prontamente i vuoti che si vengono a creare nelle faggete a causa dei tagli intensi e degli incendi. Spesso, però, anche le pinete vengono distrutte quando il fuoco ritorna più volte sulla stessa superficie (Tartagine). Attualmente, la diminuita pressione del pascolo e delle utilizzazioni, sta favorendo una leggera ripresa, seppur tra mille difficoltà, del faggio e dell’abete. I settori dove le condizioni ecologiche e dinamiche dei soprassuoli di abete lasciano intravedere una sorte migliore, sono certamente quelli misti con il faggio e con il pino laricio. In particolare la foresta di Marmano e quella di Aitone presentano una maggiore quantità ed una maggiore velocità di accrescimento della rinnovazione. In questi boschi la ridiffusione sembra essere assicurata, fermo restando le attuali condizioni di ridimensionamento del pascolo. Negli altri luoghi, soprattutto nelle abetine pure, l’inadeguatezza dei passati interventi (taglio raso) ed il concomitante pascolo hanno determinato un generale invecchiamento dei soprassuoli, con conseguente estrema difficoltà di rinnovazione sia dell’abete che del faggio, a tutto vantaggio delle pioniere. Per quanto riguarda i nuclei d’abete situati alle alte quote, questi saranno destinati tra non molto tempo a scomparire, in quanto il pascolo, a quella altitudine, è ancora troppo pressante ed il cattivo stato di conservazione delle riserve (scarsa fruttificazione), rende quanto mai aleatoria una possibile ripresa della specie. La “discesa” dell’abete nel piano delle sclerofille rappresenta un’ulteriore possibilità della specie di ridiffondersi in località che oggigiorno sono meno colpite dal pascolo, al riparo degli arbusti della macchia mediterranea. Oltretutto, la presenza di popolamenti di abete in tutte le fasce fitoclimatiche della Corsica (dai 650 a 1.800 metri), con relativa rinnovazione, dimostra pienamente che la specie possiede un margine di tolleranza notevole nei confronti dei fattori di disturbo naturali (vento, neve, siccità). Per maggiore chiarezza è doveroso evidenziare il fatto che anche il faggio, in Corsica, è in netta regressione. Anche questa specie, infatti, subisce le conseguenze di forme errate di trattamento, esaltate da modesti cambiamenti climatici, che tendono a favorire specie più xerotolleranti come i pini ed il leccio. L’invadenza del faggio nelle pinete di pino laricio (Vizzavona, Aitone, Valdu Niellu, ed altre) è più apparente che reale; ad una iniziale rapida crescita dei giovani faggi sotto il soprassuolo adulto di pino laricio non corrisponde in seguito, una volta eliminato il piano dominante di pino, una decisiva affermazione del faggio. Le piante adulte di faggio, tranne rarissime eccezioni (foresta di Vivario e St. Antoine, a tratti), hanno aspetto e portamento tutt’altro che ottimali. Queste vegetano in condizioni sempre ai limiti della tolleranza: sono sufficienti due annate secche (1988 e 1989, al primo rilevamento del fenomeno) per provocare intensi fenomeni di moria nei popolamenti di età più avanzata ed in quelli che si trovano in esposizioni e condizioni pedologiche svantaggiate (creste, pendii esposti a mezzogiorno, ecc.). Lo stesso sta accadendo anche sull’Appennino italiano. Probabilmente, anche in questo caso vale quanto detto in precedenza a proposito della regressione dell’abete.
Da quanto esposto fino ad ora, appare chiaro che, oggigiorno, l’abete partecipa in modo limitato alle cenosi forestali dell’isola. Le cause certamente vanno ricercate nell’azione sinergica tra le azioni umane ed, in parte, i cambiamenti climatici degli ultimi millenni. La presenza dell’abete bianco nell’isola corsa conferma il carattere peculiare che quest’isola, tipicamente “mediterranea”, possiede. Purtroppo i popolamenti di abete non presentano condizioni di conservazione ottimali, ma rimane la speranza che in futuro, una gestione più oculata delle risorse di questa meravigliosa isola, permetta alla specie di continuare a dominare, dall’altro delle aspre montagne dell’isola lo splendido mare del Mediterraneo.
RIASSUNTO
L’autore descrive i popolamenti di abete bianco (Abies alba Mill.) presenti in Corsica. La specie, tipica delle regioni centro-europee, vegeta solamente nelle zone montuose, in nuclei di piccola e media estensione. Anche in questa isola l’abete si trova in fase di regressione, per lo più a causa del pascolo, delle passate utilizzazioni boschive e degli incendi. Inoltre, prendendo come esempio alcune foreste dell’isola, l’autore ricostruisce i meccanismi che hanno portato alla attuale affermazione, nelle foreste dell’isola,di specie poco esigenti, come il pino laricio (Pinus nigra Arnold subsp. laricio Mairet), il pino marittimo (Pinus pinaster Antoine) e la betulla (Betula pendula Roth). Infine viene sottolineato come l’abete possegga, nonostante tutto, ancora una notevole vigoria vegetativa e riproduttiva, infiltrandosi nelle pinete. Infine, l’Autore segnala anche, per la prima volta, il ritrovamento di nuclei di abetine mai utilizzate, assimilabili a Primary Old Growth Forest.
SUMMARY
SILVER FIR (ABIES ALBA MILL.) IN CORSE
The author describes the peoplings of the Silver fir in Corse. The silver fir, typical species of the Centre of the European regions, grows only in mountains zones, of the island, in small and medium expanse groups. Even in this island, owing to the pasture, the last wood utilizations, and fires, the Silver fir is regressing. Then, talking as example some forests, the author reconstructs the mechanism causing the growth of more strong species present in the island as the Corsican pine (Pinus nigra Arnold subsp. laricio Mairet), the pinaster (Pinus pinaster Antoine), and the birch (Betula pendula Roth). Finally, the author also reports, for the first time, the discovery of groups of fir woods never exploited, similar to Primary Old Growth Forest.
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