LE CENOSI FORESTALI AD ABETE (Abies alba Mill.) DEI PIRENEI ORIENTALI
Introduzione
L’abete bianco (Abies alba Mill.), conifera diffusa sui monti dell’Europa centrale e meridionale, estende la sua presenza anche ai monti dell’Europa occidentale. Sulla catena dei Pirenei, la specie raggiunge il suo limite di distribuzione più occidentale, giungendo quasi a lambire i monti prospicenti l’Oceano Atlantico. La sua presenza è segnalata su entrambi i versanti, spagnolo e francese. Per la stesura del presente lavoro sono stati individuati e visitati i principali centri di vegetazione dell’abete nella sola porzione centro-orientale dei Pirenei, ovvero nella regione della Catalogna in Spagna e nella Languedoc-Roussillon in Francia, rimandando ad una successiva indagine la restante parte occidentale.
Caratteri dell’ambiente
La catena pirenaica si estende dall’Oceano Atlantico al Mar Mediterraneo in senso latitudinale, con lieve inclinazione dell’asse principale, in direzione nordovest/sudest.
La lunghezza è di circa 400km, mentre la larghezza non supera i 150 km. L’altitudine massima viene raggiunta dal Pico de Aneto (3404m), in territorio spagnolo, ma le cime che superano i 3000 sono abbastanza diffuse, soprattutto nella parte centrale della catena. La natura litologica dei monti è piuttosto varia. Troviamo le vette più alte ed aspre costituite da metamorfiti (graniti e gneiss), mentre buono sviluppo hanno i calcari, soprattutto nel versante francese ed ai margini della catena, con notevole presenza di fenomeni carsici e morfologie più “appenniniche”. Non mancano arenarie, argille e vulcaniti (Pic du Midi de Osseau), ma questo sono generalmente confinate nei tratti meno elevati e nel versante spagnolo. La morfologia della catena è piuttosto aspra, con lunghe creste principali disposte lungo l’asse della catena montuosa; il lunghissimo crinale scende sotto i 2000mt solamente in due punti e questo spiega il detto che i due versanti si “voltano le spalle” (Amy B., 1979). Diffuse sono le valli con gole e pareti strapiombanti, fatto questo che, come vedremo più avanti, ha favorito il permanere di formazioni forestali molto interessanti. Il naturale orientamento dei Pirenei e la sua natura litologica e morfologica hanno determinato una generale scarsità di valichi facilmente accessibili, causando, storicamente, una generale difficoltà di comunicazione tra i due versanti, francese e spagnolo.
Il clima dei Pirenei si può suddividere grossomodo in tre regimi prevalenti: l’Atlantico (oceanico), il Mediterraneo (solstiziale) e quello interno (subcontinentale). Naturalmente, il regime oceanico prevale nella porzione più occidentale della catena e lungo il versante settentrionale; quello mediterraneo nella parte più orientale e quello subcontinentale nelle vallate interne (Andorra e Val d’Aran). I tre regimi sono molto diversi tra loro e condizionano pesantemente la sviluppo della vegetazione forestale. La piovosità raggiunge i 2000 mm nella regione del Pic d’Anie (Pirenei occidentali) ed attorno alle vette più alte della regione centrale, mentre si riduce a soli 500 mm in alcune vallate dei Pirenei spagnoli (Lleida) e nelle valli sottovento ad Andorra. Complessivamente, nel versante spagnolo la pioggia è meno abbondante, con punte di soli 300 mm nelle città che si stendono ai piedi della catena (Lleida, Jaca, Huesca). Tale scarsità di precipitazione è dovuta sia alla presenza dei Pirenei, che proteggono le valli meridionali dai venti umidi nordoccidentali, sia al fatto che le pianure settentrionali della Spagna sono in realtà degli altopiani interni chiusi su tutti i lati da: Pirenei, Cordigliera Cantabrica, Sierre e monti del Montseny e di Barcellona. Il lato relativamente “debole” è quello proteso verso il Mediterraneo, quello di Barcellona, dove, eccezion fatta per il Montseny che raggiunge i 1700 mt, i restanti monti presentano altezze comprese tra gli 800 ed i 1200 mt. Nonostante ciò, la distanza sufficientemente rilevante della fascia pedemontana dei Pirenei dai due mari (Atlantico e Mediterraneo), la presenza di catene costiere le quali, seppure non elevate in assoluto, rappresentano pur sempre un fattore di stau per le coste e fohn per le regioni interne, fa sì che le precipitazioni sui Pirenei siano relativamente basse. Tuttavia, il regime delle piogge riesce a compensare per gran parte dell’area la scarsità degli apporti totali.
Infatti, osservando la tabella sottostante, ci possiamo rendere conto come durante il periodo estivo le precipitazioni siano relativamente abbondanti, tali da giustificare la presenza di una copertura forestale in molti distretti mesofila ed afferente ad ecotoni più umidi.
Stazione |
Precipit. ann. |
Precipit. estive |
|
|
|
Perpignan |
626 |
87 |
Figueres |
573 |
108 |
Girona |
739 |
155 |
Barcellona |
598 |
118 |
Lleida |
335 |
75 |
Lés |
1.219 |
308 |
Artìes |
1.140 |
265 |
La Presta |
1.121 |
369 |
Olot |
1.029 |
323 |
Ribes de Freser |
1.011 |
323 |
Puigcerdà |
788 |
245 |
Andorra |
756 |
229 |
La Seu d’Urgell |
609 |
163 |
Le stazioni più piovose sono quelle situate ai margini esterni/settentrionali dei Pirenei o a quote più elevate, mentre quelle più aride sono collocate ai margini orientali, quindi mediterranei (Perpignan), oppure in aree interne (Andorra).
Da questi bassi valori pluviometrici deriva che l’innevamento invernale non sia tra i più elevati della regione medioeuropea. I ghiacciai sono poco sviluppati e, nell’ultimo trentennio, gran parte di questi si sono estinti, soprattutto quelli situati nei massicci periferici e sulle montagne meno elevate. Questo dato è molto importante ai fini del regime delle acque superficiali, il cui deflusso ha visto un calo in questi ultimi anni. Nonostante i residui nevosi estivi siano scarsi e circoscritti alle quote più elevate, non mancano situazioni di forti accumuli da valanga nelle forre e nelle gole. Infatti, la morfologia piuttosto aspra di alcune vallate laterali dei settori più elevati dei Pirenei (Ordesa, Aran, Gavarnie, ecc.), favorisce lo scivolamento delle masse nevose, che poi si ammassano nel fondo delle gole, ombrose ed anguste, conservandosi per tutta l’estate. Tali ammassi nevosi costituiscono importanti riserve d’acqua; contribuiscono a mitigare le alte temperature estive e favoriscono il permanere di una flora in condizioni nettamente eterotopiche.
La ventosità non è elevata, soprattutto nella parte centro-orientale, più riparata e meno esposta alle correnti occidentale. Le chiome degli alberi sono raramente sagomate dall’azione eolica, anche nelle località più esposte e più elevate in genere. Questo testimonia quanto sia importante “l’effetto massa”, lo stesso che si presenta sulle nostre Alpi, ma non sull’Appennino, molto esposto alle corrente provenienti dai mari.
Ambiente forestale
Forse, il nome “Pirenei” deriva dal greco “πυρος” che significa “fuoco”. Naturalmente, il riferimento letterale è agli incendi che colpirono questi monti già a partire dal Neolitico, ma, soprattutto, nel periodo feudale, quando i Pirenei assolsero al ruolo di confine naturale tra la resistenza cristiana francese e la pressione degli arabi musulmani. Come tutti i luoghi di confine, i Pirenei furono teatro di guerre e battaglie sanguinose, che ebbero anche una notevole ripercussione sull’assetto naturale della zona. In particolare, l’eliminazione delle foreste da molte regioni, soprattutto spagnole, fu uno dei tanti modi per impedire alle truppe nemiche, dell’una o dell’altra fazione, di ottenere riparo e rifornimenti per il proprio esercito. Tuttavia, l’eliminazione delle foreste pirenaiche fu anche, e forse in prevalenza, provocata dagli incendi che i pastori usavano appiccare sul finire dell’estate per rinnovare la cotica erbosa. Tale pratica è stata ed è piuttosto comune in molte aree montuose del globo, praticata per millenni, ed è una delle causa precipue che ha portato quasi tutte le montagne mediterranee a possedere la cosiddetta “dicotomia dei versanti”, ovvero il lato sud glabro ed arido e quello nord spesso ammantato di florida vegetazione forestale. Sui Pirenei, tale aspetto è molto comune, ma, mentre sul lato spagnolo è la regola, su quello francese è meno frequente e scema gradualmente quando si discende verso la pianura. La pratica dell’incendio dei pascoli è ben documentata nella storia e nella legislazione spagnola, poiché venne vietata con editto reale agli inizi del XIX secolo. Altra causa, secondaria ma non meno importante, della scomparsa e della degradazione dei boschi pirenaici è stata la florida industria navale degli spagnoli e dei francesi che trovò nelle cenosi forestali dei Pirenei una delle principali fonti di approvvigionamento. Famosi erano gli alberi maestri (abeti) della Val d’Aran, che raggiungevano i 45 mt di altezza, ed i querceti della Catalogna. A tal guisa merita una citazione il tracciato scavato dai francesi nel XIX secolo, nei graniti delle pendici del Pic du Midi d’Osseau, in piena parete, per esboscare le abetine della montagna, non raggiungibili per altra via. Il percorso è quanto mai suggestivo poiché è intagliato nella parete verticale della gola ed il tracciato venne studiato per permettere il passaggio delle antenne d’abete, lunghe più di 40 mt. Attualmente, l’originale via d’esbosco è inclusa nella GR10, la grande traversata dei Pirenei.
Versante spagnolo
Le foreste pirenaiche spagnole sono abbastanza estese, soprattutto nei quadranti settentrionali e nelle valli più anguste. Lungo le coste del Mediterraneo, in ambiente termoxerofilo e ad altitudini comprese tra 0 e 400 mt, abbonda la macchia mediterranea, con corbezzolo (Arbutus unedo L.), lentisco (Pistacia lentiscus L.), leccio (Quercus ilex L.) e tutte le specie tipiche di questa fascia ecotonale. Il loro stato vegetativo è discreto, ma gli incendi frequenti ne hanno minato spesso il vigore ed i forestali spagnoli sono intervenuti in molte località (Costa Brava e litorali) con estesi e pinastro (Pinus pinaster Ant.), di buon esito. Nella fascia superiore (500-1000 mt), in ambiente lievemente più fresco ed umido la lecceta diviene più vigorosa ed appare associata a carpino nero (Ostrya carpinifolia Scop.), orniello (Fraxinus ornus L.), roverella (Quercus pubescens Willd.), acero minore (Acer monspessulanum L.), betulla (Betula pendula Roth.). Nel massiccio del Montseny compare anche il faggio (Fagus sylvatica L.), a diretto contatto con la lecceta ed il querceto misto, infiltrati dai pini di rimboschimento, con vigoroso agrifoglio (Ilex aquifolium L.), betulla, rovere (Quercus petrea L.), ciliegio (Prunus avium L.) e consistenti colonie pioniere di frassino maggiore (Fraxinus excelsior L.). La faggeta è un ex ceduo avviato all’alto fusto, con piante ben sviluppate e con suoli bruni poco lisciviati, molto profondi nelle vallette, che garantiscono la buona riuscita di tale intervento. La notevole fertilità di questi suoli è testimoniata dalle notevoli dimensioni raggiunte da alcune secolari sequoie (Sequoiadendron giganteum (Linddl.) Buchholz), davvero spettacolari, piantate nei pressi di una casa forestale, con piante di due metri di diametro per più di 40 mt d’altezza e grandi abeti colonnari e coronati. Su questi monti il faggio si ferma poco sotto le vette per evidenti ragioni di pascolo, sicché i forestali spagnoli hanno pensato di recuperare tali plaghe, mediante l’impianto di coltivazioni di douglasia (Pseudotsuga menziesii Franco), tra i 1300 ed i 1600 mt, sui versanti orientali, più aperti alle correnti umide mediterranee. La conifera presenta pessime forme e frequenti stroncature da neve ed attacchi di marciume. Tuttavia, la rinnovazione è presente un po’ dovunque e questo sembra rappresentare una minaccia per l’equilibrio naturale dell’ambiente in cui si trova: margine di faggeta con notevole diffusione di pulvini di ginepro (Juniperus communis L.). Nel Montseny vi sono anche due nuclei di abete, i più meridionali della Spagna.
Le faggete più estese si trovano nell’alta Catalogna, quasi sempre associate all’abete e sono prevalentemente costituite da fustaie già trattate a taglio raso con riserve e poi avviate alla coetaneità, spesso con scarso successo. Il faggio si trova in condizioni di ottimo stazionale, ma la passata gestione dei boschi spagnoli ha provocato una accesa degradazione dei suoli forestali, fattore a cui il faggio è più sensibile di qualsiasi altra specie. Per questo motivo, si osservano fustaie con accesa rinnovazione che non avrà alcuna possibilità di raggiungere le dimensioni delle belle riserve che svettano sul bosco. Tale fenomeno, già descritto da Hoffman (1988) a proposito delle faggete italiane, si può riscontrare nelle faggete e nelle abetine dei Pirenei nella sua interezza. Ciononostante, la pressione delle utilizzazioni forestali spagnole è oramai irrisoria ed i popolamenti, in evidente stato di abbandono colturale, sono in palese recupero con notevole rinnovazione ed ampliamento degli areali.
Tutta la regione compresa tra Girona ed i Pirenei veri e propri, è ricoperta da estesi popolamenti di pino silvestre, spesso associati a roverella, farnia (Quercus robur L.) e quasi tutti di origine antropica. Infatti, a partire dalla legge forestale del 1861, la prima della Spagna, ebbe inizio una vasta opera di rimboschimento e miglioramento dei boschi naturali ancora presenti, poiché milioni di ettari di montagne e colline spagnole versavano in condizioni disastrose. Dal 1861 ad oggi, i forestali spagnoli hanno rimboschito qualcosa come oltre 2 milioni di ha di terreni nudi e coniferato vaste zone di macchia degradata e querceti malandati. A tutt’oggi, in molte aree è estremamente difficile distinguere ciò che è naturale da ciò che è antropico. Nell’entroterra compreso tra Barcellona a Figueras, si incontrano migliaia di ettari di lecceta mista a pino d’aleppo, di ottima vegetazione, ma, la presenza sporadica di gruppi di vecchi pini domestici e di rinnovazione dello stesso, lascia intendere che si tratta di una lecceta già degradata, “recuperata” mediante coniferamento di pini. Lo stesso vale per le decine di migliaia di ettari di pinete a pino silvestre che allignano sui versanti spagnoli dei Pirenei, soprattutto nell’area di Ripoll e Puigcerdà. Queste formazioni sono di età compresa tra i 20 ed i 100 anni. Ad un attento esame non può sfuggire il fatto che le giovani pinete siano la rinnovazione di popolamenti artificiali già utilizzati a tagli successivi, di cui rimangono gruppi abbastanza estesi e ben evidenti. Le uniche pinete, certamente naturali, sono quelle a pino uncinato (Pinus uncinata Ramond ex DC), molto diffuso nel piano montano superiore, generalmente al di sopra dei 1500 mt, ma con frequenti discese anche laddove il bosco è stato distrutto in epoche passate. Proprio questa discesa del pino uncinato, che troviamo spesso associato al pino silvestre in modalità piuttosto curiose, ci conferma ulteriormente della artificialità di queste ultime, ma l’argomento verrà approfondito in seguito. Le pinete a pino uncinato sono molto diffuse nei versanti settentrionali delle montagne pirenaiche. Queste belle formazioni salgono in massa sui pendii più elevati fino a circa 2300-2400mt, con digitazioni, nelle montagne più interne, fino ad oltre 2600mt.
La diffusione del pino uncinato non è mai uniforme; i pendii meno acclivi e più favorevoli all’agricoltura ed al pascolo sono stati liberati dalla pineta ed ancora si presentano nudi e spogliati del loro originario manto boschivo. Di fatto, le pinete a pino uncinato sono circoscritte alle aree inette a qualsiasi forma di sfruttamento agropastorale e questo è uno dei problemi principali per un riassetto della montagna pirenaica. In queste aree, solitamente giacenti a quote elevate (oltre i 2000m), i rimboschimenti sono stati assai scarsi, per ovvie ragioni fisiche e di convenienza economica. Tuttavia, la superficie occupata dal pino uncinato è abbastanza rilevante: solo nel “Regio Forestal I” della Catalogna, ovvero la parte più interna dei Pirenei catalani, circa 30.000 ha di bosco sono dominati dal pino uncinato, con una provvigione media di 148 mc/ha.
L’aspetto attuale di queste pinete è quello di boschi abbastanza giovani nei pendii più dolci, con età medie stimate di 60-80 anni. Nei parchi nazionali e nelle zone meno accessibili e più elevate si riscontra la presenza di bei popolamenti d’età avanzata, con esemplari che superano i 200 anni ed ottima rinnovazione. Al pino uncinato si associano, naturalmente nei distretti più bassi, l’abete, il pino silvestre ed il sorbo degli uccellatori (Sorbus aucuparia L.). Qua e là si vedono anche aceri (Acer pseudoplatanus L.) e betulle, ma la presenza delle latifoglie è sempre limitata. Nel sottobosco abbondano il mirtillo nero (Vaccinium myrtillus L.), il rododendro (Rhododendron ferrugineum L.) e l’uva ursina (Arctostaphylos uva-ursi (L.) Spreng.). Al di sopra delle pinete si estendono vasti pascoli a nardo (Nardus stricta L.) e selino (Selinum pyreneum), ancora pascolati con regolarità.
L’abete è discretamente diffuso, con particolare concentrazione nella Val d’Aran e nell’area più prossima al confine francese, ossia sul crinale. Le stazioni più basse si trovano nella Val d’Aran, attorno ai 1000mt, mentre le più elevate sono nel Parco Nazionale d’Aiguestortes (sempre Val dAran), ad oltre 2100mt. Verso il basso l’abete si associa al pino silvestre, in formazioni in rapida evoluzione, mentre alle alte quote lo ritroviamo disperso nelle pinete di pino uncinato, che tende a sostituire nelle zone migliori. Tuttavia, le migliori abetine, per forma e dimensioni, si osservano laddove vegeta anche il faggio, poiché i suoli sono decisamente migliori.
Versante francese
La dorsale francese dei Pirenei presenta aspetti diversi da quella spagnola. Innanzitutto, il versante è sopravvento (stau) alle correnti più umide e fresche che provengono dai quadranti settentrionali ed occidentali e poi la storia è stata diversa. La lecceta compare solamente nel distretto più mediterraneo, con cedui degradati e misti alle altre sclerofille tipiche dell’orizzonte. Il substrato calcareo se da un lato rappresenta un ottimo supporto per la lecceta, dall’altro si presta facilmente a subire i processi di degradazione pedologica tipici degli ambienti mediterranei. Secoli di tagli, incendi e pascolo, non sono passati invano e la lecceta, purtroppo, è la cenosi che più di ogni altra ne ha subito gli effetti. Tuttavia, attualmente la pressione forestale su questa bella cenosi è andata vieppiù scemando poiché il mercato del carbone è fortunatamente ridimensionato, sicché, qua e là, si possono osservare interessanti scorci di lecceta matura. Ai margini settentrionali (0-300m), le foreste sono edificate da cenosi di cedui misti di latifoglie, ascrivibili al Quercus-Tilia-Acer di Schmidt, con forte partecipazione di tiglio (Tilia cordata Scop.) e frassino maggiore, associati ad acero riccio (Acer platanoides L.), farnia (nelle vallette), sorbo domestico (Sorbus domestica L.), nocciolo (Corylus avellana L.), ciliegio ed occasionali discese di faggio ed abete. Al di sopra dei 300mt ca. il faggio diviene dominante, con presenza di abete allo stato di piante residue e gruppi di rinnovazione. Le faggete sono state tutte governate a ceduo semplice con rilascio di matricine in numero esiguo ed ora sono in avviamento ad alto fusto o sostituzione, mediante discutibilissime sottopiantagioni di conifere a rapido accrescimento, con douglasia in primis. Le faggete migliori sono quelle situate in boschi demaniali statali. Sono tutti boschi coetanei derivanti da ceduo e di buona vegetazione, con abete, aceri, frassino e pino silvestre nelle aree meno fertili. Al di sopra dei 1500 mt, compare il pino uncinato, ma questa bella conifera è meno abbondante che sul versante spagnolo poiché l’esigenza dei pascoli, unita alla minore altezza dei rilievi, ha determinato l’eliminazione del piano superiore a pino e, spesso, con le faggeto-abetine il bosco ha termine.
Diffusione dell’abete
Le abetine pirenaiche sono diffuse, abbastanza regolarmente, su entrambi i versanti francese e spagnolo. Ad una rapida occhiata sembrerebbe che l’abete non abbia particolari preferenze in merito al suolo oppure al clima, oppure che l’azione antropica sia stata meno pesante che altrove, ma non è così. Osservando attentamente la distribuzione della conifera, si nota una concentrazione nelle zone spagnole più interne, mentre nel versante francese vegeta più abbondante nelle colline e sui monti più aperti verso il Mediterraneo. Per quanto riguarda il versante spagnolo la spiegazione è piuttosto semplice poiché la storia e l’uso del suolo hanno condizionato pesantemente lo sviluppo del bosco, eliminandolo laddove se ne ravvisava la necessità, onde costituire estese fasce di coltivazioni e pascolo. Questo va detto e ricordato in quanto la vegetazione forestale che noi oggi osserviamo, anche sui Pirenei, non è solamente il prodotto di interazioni naturali, ma, e forse soprattutto, è il risultato di uno pseudo equilibrio che si pone come il risultato di alterazioni progressive indotte dalle attività antropiche.
Detto questo, possiamo osservare come le abetine siano presenti quasi esclusivamente sui versanti settentrionali dei monti, con una percentuale che sfiora il 100%. Tale dato va interpretato con quello che è stato appena detto, ovvero che i pendii meridionali sono quelli che hanno subito gli interventi antropici più massicci, mentre quelli esposti a settentrione sono stati “risparmiati” onde avere fonti d’approvvigionamento di combustibile. Se a questo dato aggiungiamo anche il valore relativo alle pendenze il quadro si chiarisce ancora di più: oltre il 90% delle abetine vegeta su pendii con pendenze maggiori dell’80%. Possiamo tirare le somme con l’osservazione diretta che ci conferma quanto supposto dai dati, ovvero che le abetine (il bosco) sono state rilasciate solamente nei terreni più ingrati. La superficie occupata dall’abete nei Pirenei spagnoli centro-orientali è di circa 14000 ha, di cui 11000 nella sola Val d’Aran. La diffusione dell’abete ricalca un po’ quello che è il paradigma della “lontananza”, ossia maggiore abbondanza nelle aree più interne e rarefazione progressiva nelle aree più periferiche e prossime ai grossi centri abitati ed alle pianure in genere. Le stazioni più orientali e meridionali sono quelle situate sui monti del Montseny, in verità al di fuori della catena pirenaica, ma pertinenti e significative per il presente lavoro. Si tratta di due modesti nuclei affrancati sui pendii settentrionali delle due cime più elevate del Montseny: Turo de l’Home (1706m) e Matagalls (1697m). Su questi due monti l’abete si trova in parziale associazione con il faggio, costituendo due nuclei collocati su uno sperone il primo (T. de l’Home) ed in una valletta aspra il secondo (Matagalls). La faggeta è rappresentata da un ceduo “invecchiato”, di buon portamento in basso, nelle vallette e nei pendii sottovento, e scadente lungo le creste, molto ventose. Il nucleo di T. de l’Home è puro e dinamicamente staccato dalla faggeta, con poche decine di piante che vegetano all’interno della stessa. Il portamento degli abeti è discreto, con esemplari che superano i 20 m di altezza nella parte più bassa e riparata della faggeta ed altezze più contenute nella porzione di abetina pura. Tutto il nucleo si trova adagiato su di un costone dal quale la faggeta si è ritirata per evidenti difficoltà edafiche dovute alla natura litologica del substrato, costituito di calcari con clasti mobili e suolo superficiale. L’abete è riuscito ad insediarsi, pur con evidenti difficoltà adattative e perdendo, a causa della ceduazione, le posizioni interne alla faggeta. La rinnovazione dell’abete è scarsa nell’abetina e diffusa nella faggeta ed ai margini di questa. La superficie dell’abetina si aggira intorno ai 10 ha e si estende tra i 1300 ed i 1600 m, mentre l’età media del popolamento è di circa 100 anni, la stessa delle matricine del ceduo di faggio. Il secondo nucleo, quello di Matagalls, è differente per dislocazione dell’abete, situato in una valletta in luogo del crinale, ma identico sotto il profilo dinamico/strutturale, solo che qui la conifera è associata alla faggeta, anche se è sempre sottoposta al faggio in quanto ad altitudine. Nel sottobosco compare copioso l’agrifoglio, mentre nelle frequenti radure crescono vigorosi il frassino maggiore, l’orniello (Fraxinus ornus L.), l’acero campestre (Acer campestre L.), con sporadiche risalite del leccio e delle sclerofille mediterranee, inclusa la sughera (Quercus suber L.).
Più a nord, la catena pirenaiche si erge con prepotenza e notevole vigore. I primi popolamenti di abete si trovano nell’originale e caratteristico massiccio calcareo del Pedraforca, curiosa montagna dalla cima bifida di 2498 m, che sovrasta delle belle formazioni di faggio ed abete, con forte partecipazione del pino silvestre e del pino uncinato, il primo nelle zone meno fertili e più aride ed il secondo alle quote più elevate. Interessante notare come il faggio sia presente nell’area più esterna dei Pirenei catalani, trovando nel Pedraforca una delle digitazioni più interne. Infatti, pochi chilometri più a nord, nella Serra del Cadi, la partecipazione del faggio alle cenosi forestali declina vistosamente a poche piante isolate. Al contrario, l’abete è sempre presente in tutta l’area del Pedraforca/Cadi, con popolamenti vigorosi ed estesi, associandosi al faggio nelle zone più basse ed al pino uncinato in quelle più elevate, non disdegnando anche di invadere le pinete di pino silvestre, laddove le condizioni edafiche lo consentono. L’abete vegeta nell’intervallo compreso tra i 1500 ed i 2000 m, con occasionali discese nei fossi più umidi e risalite nel piano subalpino nelle località più riparate e nei soprassuoli più densi di pino. In entrambi i casi è evidente la tendenza del faggio e dell’abete a soppiantare i pini. Tuttavia, la presenza del faggio e dell’abete si limita ai versanti settentrionali ed orientali dei monti, in virtù di quanto esposto in precedenza, lasciando i quadranti meridionali al pino silvestre. Nel sottobosco delle faggete e delle abetine abbonda il bosso (Buxus sempervirens L.), specie dal comportamento assai originale, visto che da noi lo si ritrova come specie termoxerofila nelle garighe degradate, mai come pianta microterma e raramente come mesofila. Nei Pirenei, ma anche nella penisola balcanica (Rovelli, 1996), il bosso accompagna fedelmente le pinete, siano di pino silvestre, uncinato o loricato (Pinus heldreichii Christ.), raggiungendo spesso altitudini considerevoli (2600-2700m), ma anche le faggete dei Pirenei francesi sono ricche di bosso fino a quote modeste (400-500m). Un altro nucleo abbastanza rilevante d’abete è quello della Serra del Cadi, situato dirimpetto allo spartiacque principale pirenaico. Qui l’abete si trova perlopiù frammisto ai pini silvestri ed uncinato, con sporadici faggio ed acero, ma è più interessante il nucleo limitato del Passo e Toses (1800 m), lungo la strada che collega l’alta Val d’Urgell con la vasta pianura di Puigcerda e la frontiera francese. Si tratta di un nucleo residuo situato poco oltre il passo, nell’alta valle del fiume Segre, Il soprassuolo è costituito da abete allo stato quasi puro (95%), con pino silvestre ed uncinato associati, rispettivamente nelle zone più basse e più elevate. Gran parte delle pinete di pino silvestre è d’origine antropica, mentre il pino uncinato è presente in maniera discontinua e tende ad espandere il proprio areale colonizzando i pascoli abbandonati. La struttura è disetaneiforme, con piante che raggiungono i 15-18 m d’altezza e 60 cm di diametro ed esemplari danneggiati dal vento e dalla neve nei crinali. La rinnovazione è abbondante lungo la strada, nelle chiarie e nei margini del bosco. La sua posizione, le sue dimensioni e la sua attuale fase d’espansione, ci fanno capire che si tratta di un lembo di bosco scampato alla decimazione dei secoli passati, ma che testimonia come le abetine fossero estese in modo continuo su gran parte dell’asse principale pirenaico e non solo. Inoltre, osservando i versanti dei monti adiacenti l’abetina si notano perfettamente estesissimi popolamenti artificiali di pino silvestre di prima e seconda generazione, macchie di pinete naturali a pino uncinato e piccoli nuclei di abete, situati di preferenza nelle vallette o in aree rupestri e meno fruibili dagli armenti.
Attorno all’area abitata di Puigcerda non si rinvengono tracce di abete, ma i soprassuoli sono costituiti da pinete in gran parte artificiali, di oltre 100 anni e boschetti naturali di pini uncinato e silvestre, betulla, sorbo degli uccellatori (Sorbus aucuparia L.) in evidente espansione areale ma di forma scadente. Nessuna traccia d’abete neanche nei pendii meridionali della costiera che costeggia il confine politico con Andorra, degradato ed incendiato. Qualche piccolo nucleo cresce ancora nelle vallette laterali d’Andorra, associato al pino silvestre, in formazioni degradate e spesso rupestri. La piccola Repubblica d’Andorra gode del clima più continentale dei Pirenei, ma anche del più secco. Per incontrare altre abetine di una certa rilevanza dobbiamo raggiungere l’imbocco della Val d’Aran, dove i gruppi di abete, si rinvengono misti sempre ai pini, alla betulla ed anche all’ontano verde (Alnus viridis (Chaix.) D.C.), specie pioniera molto importante e vigorosa. Il Parque Nacional de Aigues Tortes de San Mauricio comprende superfici molto rilevanti di abete. La Valle di Espot, ai margini orientali del Parco ospita una estesa abetina, molto suggestiva e ricca di esemplari colossali e pluricentenari. La parte bassa (montana inferiore), subito a valle del paese (1340 m), è occupata da boschetti pionieri di nocciolo (Corylus avellana L.), associato a carpino nero, noce (Juglans regia L.), betulla e pino silvestre. A monte del paese, le pinete di pino silvestre, con betulla accessoria, divengono prevalenti, ma l’abete compare quasi subito, oltre i 1450 m, con sporadiche discese anche del pino uncinato. La struttura di questi boschi è irregolare, con un passato di taglio a raso seguito da abbondante pascolamento, di cui sono ancora visibili le tracce. Oltre i 1500 m, l’abete diventa dominante, con percentuali di copertura di oltre l’80%, con piante giovani ma di portamento scadente e spesso coronate. L’abetina si svolge soprattutto lungo il versante settentrionale della costiera Pui de Linva (2868 m) – Gran Encantat (2747 m). All’opposto versante, si estendono vaste pinete secondarie, infiltrate dall’abete ed in evidente successione verso formazioni pure d’abete il quale, tra l’altro, domina anche questo versante sopra i 1650 m. Come da copione, salendo verso il Lago Estany de Sant Maurici (1900 m) ed allontanandosi dal paese, il bosco diviene sempre più ricco di piante colossali, con abeti che superano i 35 m d’altezza e raggiungono 1,60 m di diametro, accompagnati da abbondante rinnovazione, presente praticamente ovunque. I pini e la betulla non scompaiono mai, ma rimangono relegati a ruoli marginali, perlopiù di colonizzatori delle zone franose e dei margini di torbiera. Nel sottobosco crescono rigogliosi ed abbondanti il mirtillo (Vaccinium myrtillus L.), il rododendro (Rhododendron hyrsutum L.), la rosa (Rosa pendulina L.), la dafne (Daphne mezereum L.). L’abete sale sui pendii rocciosi della bellissima guglia del Petit Encantat, simbolo del Parco, associandosi al pino uncinato e lasciando il passo a questo solamente oltre i 2050-2100 m. Particolarmente interessante è la dinamica della vegetazione forestale della piccola Val de Monestero, dove l’abete sta incalzando il pino uncinato, con abbondante rinnovazione nel sottobosco ed ottime probabilità di riuscita nella parte bassa della valle. Confrontando la vegetazione attuale con quella ipotizzabile seguendo le attuali dinamiche, si evince come l’abete non stia facendo altro che rioccupare aree già impegnate dalla specie in un recente passato. In aiuto di questa ipotesi ci sono le vecchie immagini del XIX secolo e dei primissimi anni del XX che ritraggono le abetine prospicienti il lago d’Estany, nelle quali si apprezza lo stato di generale deperimento dei boschi, già utilizzati a raso, con riserve scadenti e spesso cimate. Inoltre, a giudicare dallo stato del suolo, se ne deduce che il taglio risale ad almeno un cinquantennio prima della ripresa fotografica e che a quella data il pascolamento era più che sostenuto, testimoniato dall’assoluta mancanza di rinnovazione e costipamento del suolo. Da sottolineare che l’immagine si riferisce ad ambienti situati a 2000 m per quanto riguarda il primo piano e 1900 m per lo sfondo. Sullo sfondo si osserva anche un boschetto residuo di pino uncinato di giovane età a quella data. Rispetto alla desolante descrizione offertaci dall’immagine di repertorio, oggigiorno, l’abete ed i soprassuoli in genere, presentano un aspetto decisamente più florido. Dopo l’acme delle utilizzazioni, avutosi nei Pirenei spagnoli con il finire del XIX secolo, già agli inizi del XX, molto probabilmente, si ebbe un certo recupero in termini di densità e rinnovazione, soprattutto nei boschi più elevati. L’ultima grande utilizzazione forestale nella zona si è avuta nel 1946. In tale data vennero realizzate lunghe teleferiche con filo a sbalzo mediante le quali il legname partiva dai pressi del Lago, percorreva tutta la Valle di Espot e raggiungeva il fondo valle, nei pressi del ponte sul Fiume Pallaresa. In quella occasione la foresta venne trattata a taglio a scelta, delle piante migliori, ma la maggior parte dei giganti residui dei tagli Ottocenteschi non vennero abbattuti. Successivamente, nel 1964, con l’istituzione del Parco Nazionale le utilizzazioni ebbero termine e così centinaia di abeti e pini plurisecolari hanno avuto modo di giungere fino a noi. Ai giorni nostri il bosco ha ripreso una fisionomia più naturale, con l’abete che ha invaso e recuperato gran parte delle radure provocate nel passato dal pascolo e dai tagli reiterati. La struttura prevalente è disetanea a gruppi, con piante adulte molto spesso coronate e numerosi esemplari in deperimento, soprattutto alle quote più basse e nei tratti laddove il suolo è più superficiale. A tale riguardo, si osserva chiaramente che la diffusione del mirtillo è strettamene correlata al grado di sofferenza dei soprassuoli in misura direttamente proporzionale. Lo stesso si potrebbe dire a proposito del rododendro il quale abbonda nei punti meno densi e nelle abetine degradate, ma il grado di correlazione non sembra essere tanto chiaro come lo è per il mirtillo. Riguardo a ciò, non è chiaro se il deperimento sia dovuto a fattori climatici oppure a danni di nuovo tipo. Soprattutto nel bosco della Valle di Espot, si ha la chiara sensazione che difficilmente gli abeti adulti riusciranno a raggiungere le dimensioni di quelli plurisecolari. In molte zone si incontrano anche vasti tratti di abetina coetanea di età compresa tra i 40 e gli 80 anni, in buona vegetazione ma di incremento modesto, con sparsi esemplari del vecchio ciclo, di dimensioni nettamente superiori e sempre coronati. Nelle zone più impervie ed elevate, oltre i 1900 m, l’abete si mescola gradualmente al pino uncinato, che diviene dominante ed esclusivo oltre i 2100 m. A queste quote la densità è più bassa, un po’ per cause naturali, ma soprattutto perché il recupero di condizioni “naturali” è molto più lento e non sempre giunge a conclusione. Gli ultimi tagli, quelli del 1946, miravano soprattutto ad esboscare le piante del vecchio ciclo, a diradare i nuclei di spessine e perticaie e quelli meno toccati nei precedenti interventi. Per tale motivo, le formazioni subalpine rupestri sono attualmente quelle che presentano densità inferiori ed una certa difficoltà di rinnovazione in taluni località più esposte. In qualche caso, i tagli hanno avuto l’effetto di deprimere il limite superiore forestale a vantaggio dei pascoli, fino a casi estremi, nei quali l’apertura del soprassuolo ha provocato l’insorgere di fenomeni ricorrenti di scivolamento delle masse nevose non più trattenute dalla massa degli alberi. Al contrario, le radure in bosco nel piano montano superiore sono rare e la densità è normale o colma. Ciononostante, nei pressi del Rifugio d’Estany, non distante dal lago, si osservano ancora grossi abeti, di oltre un metro di diametro, che svettano isolati nei pingui pascoli che sono ancora rimasti. Tali ambienti residui, testimoni di un passato di degradazione e riduzione del bosco, sono le ultime, vistose, tracce di una società fondata sull’abuso della risorsa bosco. Queste “oasi” sono rimaste tali a causa del perdurante pascolo operato dagli armenti di stazza al rifugio. Tuttavia, anche queste lacune sono in via di lento ma progressivo colmamento così come denotato dalla presenza invadente di cespugli pionieri di nocciolo, ontano verde e alberetti di betulla. Proseguendo lungo la Val d’Aran, i popolamenti di abete sono sempre più numerosi ed estesi, fino a divenire predominanti non appena la valle cambia orientamento e si dispone lungo un’asse ovest/est, esponendo quindi un intero versante a settentrione. Degno di nota il fatto che, a fronte di un versante esposto a tramontana ricoperto di un’estesa abetina pura, quello di mezzogiorno si presenta, se si eccettuano gruppi sparuti di pino silvestre ed uncinato, totalmente spoglio di vegetazione forestale oltre i 1600 m ed in accesa degradazione. Tale aspetto, come già enunciato in precedenza, costituisce un po’ la caratteristica saliente e dolente di tutta la catena pirenaica, con particolare incidenza nel versante spagnolo. Su questo versante sono visibili terrazzamenti e geometrie antropiche, tutte afferenti alla pratica pastorale ed agricola del passato. Fortunatamente, la betulla ed il pino silvestre stanno velocemente colonizzando tutte le aree abbandonate dall’uomo, con infiltrazioni d’abete nei distretti più fertili e nei fondovalle in genere. Tornando ai versanti di tramontana, osserviamo che l’abete ricopre totalmente il terreno, puro nelle zone più fertili e frammisto al pino uncinato laddove le asperità del suolo non consentono un copertura totale ed esclusiva.
Le dimensioni raggiunte dall’abete sono sempre ragguardevoli, così come l’età di molti vecchi abeti e pini abbarbicati sulle rocce. Dall’analisi di alcune ceppaie si riscontrano età anche di 300 anni. Tuttavia, l’età media delle abetine migliori è compresa tra i 50 ed i 150 anni. Difatti, nelle località meno elevate, il prelievo delle piante è stato continuo fino agli anni Sessanta, fatto questo che ha contribuito ad uniformare il profilo di questi boschi, pur con notevoli differenze cronologiche al suo interno. La rinnovazione è sempre abbondante ed è pronta ad occupare qualsiasi vuoto presente all’interno del bosco. Scarsi gli attacchi parassitari e fungini. Altrettanto poco diffuse sono le piante cimate. Infatti, gli schianti da neve o da vento sono molto rari sui Pirenei, segno di una scarsa frequenza di galaverna e nevicate di neve “bagnata”. Le diramazioni laterali della Valle d’Aran possiedono interessanti boschi, soprattutto quelle dirette verso meridione e che afferiscono sempre al Parco Nazionale. Infatti, una decina di chilometri più ad ovest, quindi teoricamente più vicini al dominio atlantico, ma sempre con delle quantità di precipitazioni piuttosto contenute (700-800mm), compaiono le prime faggete. L’incontro con queste importanti formazioni non é progressivo come ci si potrebbe aspettare, ma piuttosto immediato ed improvviso. A dispetto di tutte le aspettative, le faggete iniziano come un muro; un metro prima abetine pure con pini ed immediatamente dietro l’angolo il faggio compare prepotentemente all’interno delle acerete e dei frassineti, in formazioni degradate e pioniere ma in evidente espansione. Tale stato di cose è difficilmente spiegabile in termini d’ecologia naturale ma appare comprensibile se inquadrato all’interno di una “ecologia post-antropica e post-industriale”, e non potrebbe essere altrimenti. Cercare di decifrare questi comportamenti affidandosi solamente all’autoecologia o esclusivamente alle ragioni naturali è quantomeno riduttivo e limitante. Per tale motivo, soffermarsi ad osservare il paesaggio della bassa Valle d’Aran e delle vallette adiacenti, con piccole faggete disperse al loro interno, sempre più numerose e floride mano a mano che ci si allontana dalla valle principale, indipendentemente dalla direzione presa, ci aiuta a comprendere che la ragione della sua rarefazione nell’area è come sempre riconducibile all’uomo. La litologia del terreno, il clima e l’orografia imporrebbero una presenza certamente più diffusa del faggio, soprattutto nelle zone più vicine allo spartiacque e nei monti prospicienti il Mediterraneo, ma ciò non avviene. Lungo tutto il versante spagnolo dei Pirenei, il faggio é diffuso a macchia di leopardo, con una concentrazione solamente nella zona dell’alto Urgell la quale, peraltro, non è una delle zone più umide dei Pirenei spagnoli né tantomeno una delle più fresche.
Ciononostante, esiste una certa correlazione tra la presenza dell’abete e quella del faggio. Infatti, le due specie spesso condividono lo stesso ambiente, in concorrenza tra loro, ma molto meno accesa che non sulle montagne del Mediterraneo centrale. Il substrato edafico di matrice soprattutto metamorfica stempera molto il vigore del faggio, permettendo anche ad altre specie, sia latifoglie che conifere, di associarvisi in maniera più o meno stabile.
(continua)
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