INTRODUZIONE
Sulle Alpi Marittime italiane la presenza dell’abete è sporadica, mai continua. Generalmente si tratta di modesti raggruppamenti collocati nella fascia di transizione tra il Fagetum ed il Picetum, su isole rocciose o in zone di scarso valore pabulare e selvicolturale. La particolarità delle abetine delle Alpi Marittime risiede nel fatto che queste presentano moltissime affinità distributive ed ecologiche con le stazioni presenti in Corsica (Rovelli, 1995), nonché un’elevata dinamica ed indiscutibili potenzialità di espansione.
CARATTERI DELL’AMBIENTE
Il massiccio dell’Argentera è situato in Piemonte, nella parte centrale delle Alpi Marittime, confinante con la Francia. Esso è costituito da rocce cristalline e sedimentarie: graniti, scisti, granodioriti e, limitatamente, calcari secondari. La morfologia è possente, aspra e frequentemente rotta da pareti e gole rocciose. L’aspetto è quello di montagne potenti e massicce, di difficile accesso e notevoli dislivelli. Pertanto la presenza di centri abitati è di modesta entità; i paesi sono pochi e poco abitati. Il clima è temperato freddo, tendenzialmente suboceanico, ma con influssi mediterranei. Le precipitazioni annue ammontano a 1500-2000 mm; la temperatura media annua a 1500 m è di soli 5 °C. L’elevata piovosità è determinata dalla vicinanza del Mediterraneo, distante non più di 40-50 km in linea d’aria. L’influenza del Mediterraneo, oltre a causare un incremento nelle precipitazioni, mitiga i rigori invernali e favorisce la penetrazione di correnti umide nel periodo estivo, in modo da aumentare la piovosità durante il trimestre estivo sotto forma di temporali convettivi. Sul massiccio dell’Argentera-Gelas si trovano i ghiacciai più meridionali delle Alpi (Clapier, Peirabroc, Maledia, Gelas). Pertanto, nell’area studiata si riscontra la presenza delle fasce fitoclimatiche del Castanetum, Fagetum e Picetum.
AMBIENTE FORESTALE
Il territorio interessato dai Parchi Naturali dell’Argentera e del Mercantour rientra nei confini delimitanti l’antica Riserva Reale di Caccia dei Savoia, istituita nella seconda metà dell’Ottocento. Le foreste sono limitate poiché si tratta di una regione profondamente antropizzata e sfruttata intensamente per il pascolo ovino e bovino.
Nella fascia fitoclimatica del Castanetum (400-800 m) troviamo cedui misti mesofili costituiti da Fraxinus excelsior L., Castanea sativa Mill., Carpinus betulus L., Betula pendula Roth., Corylus avellana L., Quercus robur L., Ilex aquifolium L., Acer platanoides L., Acer pseudoplatanus L., Ulmus glabra Huds., Tilia cordata Mill.. Sono perlopiù cedui degradati, edificati principalmente dal frassino, in evidente fase colonizzatrice, nei quali non mancano penetrazioni mediterranee come il ginepro fenicio (Juniperus phoenicea L.), l’orniello (Fraxinus ornus L.) ed il carpino nero (Ostrya carpinifolia Scop.). Nella parte francese, pochissimi chilometri a sud, la presenza mediterranea è più incipiente: compaiono i cisti, il corbezzolo (Arbutus unedo L.), il leccio (Quercus ilex L.), il terebinto (Pistacia terebinthus L.) e altri. Nel versante italiano, già a 700-800 m, compare il faggio (Fagus sylvatica L.), in miseri cedui degradatissimi e quindi associato ad altre pioniere come l’invadente frassino, il salicone (Salix caprea L.), l’ontano verde (Alnus viridis (Chaix) D.C.), il sambuco (Sambucus racemosa L.), il maggiociondolo (Laburnum alpinum (Mill.) Bercht. et J. Presl), il sorbo degli uccellatori (Sorbus aucuparia L.) ed altre. A partire dai 1200-1300 metri compaiono sporadicamente il peccio (Picea abies Karst.), il sorbo montano (Sorbus aria Crantz.), il larice (Larix decidua Mill.) e l’abete (Abies alba Mill.); si tratta di esemplari transfughi che colonizzano le chiarie e le radure, non infrequenti nelle faggete degradate. Al di sopra dei 1400-1500 metri, la faggeta lascia il posto all’abetina pura, o quasi, nella quale compare il larice, che occupa le stazioni più degradate e pascolate, aiutato dai salici (Salix caprea L.; Salix aurita L.), dal maggiociondolo e dall’ontano; quest’ultimo soprattutto nelle aree percorse da valanghe. La picea è concentrata nella Valle della Valletta, sempre associata all’abete ed al larice. Oltre i 2000 metri fa la sua apparizione il cembro (Pinus cembra L.), al suo limite meridionale di distribuzione, soprattutto nelle località rocciose e sulle pareti granitiche, sulle quali lo accompagna il mugo (Pinus mugo Turra). Il limite superiore del cirmolo si colloca attorno ai 2500-2600 metri, mentre il mugo rimane più in basso, non oltre i 2400 m. Nel sottobosco ed ai margini della faggeta troviamo le specie tipiche di questa formazione forestale: Prenanthes purpurea L., Convallaria majalis L., Poligonatum multiflorum (L.) All., Ribes uva-crispa L., Ribes alpinum L., Paris quadrifolia L., Saxifraga rotundifolia L., Vincetoxicum hirundinaria Med., Galium odoratum (L.) Scop., Daphne mezereum L., Cerinthe major L., Aconitum vulparia L., Lilium martagon L. ed altre. Nelle abetine la flora nemorale si arricchisce di: Vaccinium myrtillus L., Clematis alpina (L.) Mill., Thalictrum aquilegifolium L., Thalictrum flavum L., Daphne cneorum L., Berberis vulgaris L., Lonicera nigra L., Polygonum bistorta L., Campanula scheuchzeri Vill., Aconitum napellus L., Arnica montana L., Cypripedium calceolus L.. ed altre. Nelle formazioni di pino mugo su calcare il suolo è generalmente ricoperto di un mantello uniforme di Dryas octopetala L., associato a Pinguicola alpina L., Salix herbacea L., Rhododendron hirsutum L, Rosa pendulina L., Rosa pinpinellifolia L., Amelanchier ovalis Med.. Le mughete su granito sono molto impoverite e si trovano esclusivamente su balze rocciose inaccessibili. I suoli sono scarsamente evoluti; prevalgono i Ranker, oppure, nei casi migliori (molto rari), suoli bruni lisciviati acidi, sempre di spessore assai modesto.
UN PO’ DI STORIA DEL BOSCO
L’aspetto attuale dei boschi dell’Argentera lascia intendere chiaramente una precedente fase di notevole espansione del bosco e delle formazioni di abete, picea, larice e cembro. Soprattutto alle alte quote si è esplicato quel processo di riduzione e trasformazione del bosco che ha portato alle estreme conseguenze molte località.
La formazione del “parco” a larici non è stata molto intensa poiché la naturale morfologia impervia dei luoghi ha imposto uno sfruttamento intensivo e capillare di ogni angolo di questi monti non permettendo, quindi, neanche il rilascio di poche piante di larice. Non ha giovato la creazione della Riserva Reale di Caccia poiché il danno è avvenuto precedentemente a tale periodo storico (1880). La stragrande maggioranza delle faggete è ridotta a misero cespuglieto, non tanto nella valle di Valdieri quanto nelle vallate limitrofe della Rovina, della Meris e di S. Giacomo. Le piante secolari presenti attorno alle Case di Caccia Reali non sono altro che vecchie matricine ramose, rilasciate al momento della costruzione degli edifici per adornare tali luoghi. Da fotografie rinvenute negli uffici turistici del Parco Naturale, nel grande Albergo delle Terme di Valdieri e su altre pubblicazioni (T.C.I., 1934) si è potuto apprezzare lo stato dei boschi al momento della costruzione degli enunciati edifici. Le faggete erano ridotte a pochi macchioni isolati ed estremamente radi; le abetine di abete erano circoscritte alle località più impervie, mentre i lariceti (V. Valasco) possedevano una densità ed una estensione più che dimezzata rispetto all’attuale. Con l’istituzione della Riserva di caccia, le condizioni non cambiarono per le faggete che continuarono ad essere interessate da intensi tagli a raso, senza il rilascio di matricine, mentre le formazioni di conifere ebbero a trarre qualche vantaggio. L’età media di queste formazioni forestali (70-90 anni) denota una drastico calo nelle utilizzazioni ed una ripresa nella densità e nell’estensione dei nuclei. Difatti, è possibile osservare la maggiore età delle piante presenti sulle rocce rispetto a quelle situate nelle aree più fertili. Più o meno le stesse considerazioni si possono trarre a proposito delle abetine e dei lariceti dell’adiacente Valle delle Meraviglie (Parc National su Mercantour), in territorio francese, ma in questo caso con qualche informazione in più.
Negli anni ’20, quando il territorio era ancora sotto la giurisdizione italiana, i forestali italiani effettuarono un intenso taglio a raso sull’intera superficie della valle, peraltro perpetrando un danno incalcolabile a soprassuoli che già erano in condizioni misere, rilasciando solamente pochissime piante di larice ed abete lungo le rotture di pendio. Alcune illustrazioni riferentesi ai laghetti alpestri di questa parte delle Alpi (Sacco F., 1934), risalenti, con molta probabilità, ad inizio secolo e perciò anteriormente ali tagli sopracitati, mostrano con molta evidenza soprassuoli molto radi e nettamente ridotti rispetto all’attuale. Oggigiorno, nella valle delle Meraviglie si notano nuclei di abeti secolari abbarbicati sulle rocce e giovani esemplari (50-80 anni) che sono riusciti a ricolonizzare le pinete di pino silvestre (Pinus sylvestris L.), ripredendosi, in definitiva, spazi di loro pertinenza. Nella Valle delle Meraviglie il faggio è stato totalmente eliminato per fare spazio alle colture dei castagneti ed al pascolo ovino. Successivamente, una volta calata l’intensità del pascolo, il pino silvestre ed il larice hanno prontamente occupato lo spazio disponibile, in formazioni non sempre di buon livello strutturale e dinamico.
DIFFUSIONE DELL’ABETE
Il nucleo principale di abete si trova all’incrocio delle tre valli che confluiscono nella V. Gesso: Valasco, Valletta e Lourousa, a quote comprese tra i 1300 ed i 1850 m. Questo nucleo comprende anche le digitazioni che percorrono le tre valli enunciate e che costituiscono il “cuore” dell’abete nell’Argentera. A questo raggruppamento principale vanno aggiunte le stazioni disperse nella Valle della Meris (Rocca Arcoulon), le piante isolate dell’alta V. Velasco (1800 m), a monte della Casa di Caccia, e quelle presenti sulle ripide pareti dell’Asta Sottana e lungo il fiume Gesso. L’abete vegeta solamente nei versanti esposti ad ovest, nord-ovest, nord e nord-est, rifuggendo totalmente i quadranti più caldi, occupati dal faggio e dai pascoli.
STATO ATTUALE DEI POPOLAMENTI D’ABETE
L’area occupata dall’abete allo stato puro si può stimare in circa 150 ha oltre ad altrettanti occupati da formazioni miste con larice, faggio e peccio.
La fase dinamica attuale dei popolamenti d’abete è caratterizzata da un’elevata potenzialità di ridiffusione nelle cenosi di sua competenza. Tale stato di cose, tuttavia, è parzialmente effettivo in quanto la natura stessa dei luoghi ostacola una dinamica rapida e direttiva. L’elevata pietrosità, l’asperità generale della montagna, non permettono una rapida affermazione del processo pedogenetico e, tenuto presente che la degradazione delle formazioni forestali originarie è stata anche una degradazione dei suoli, i tempi di ripresa saranno necessariamente lunghi. Nonostante questo, la dinamica della ricostituzione delle cenosi boschive è evidenziato dalle estese formazioni di ontano verde, maggiociondolo e larice che hanno invaso i pascoli e che gradualmente preparano il reinsediamento di specie più esigenti quali sono il faggio, il peccio e l’abete. La struttura delle abetine è sostanzialmente coetanea o paracoetanea in quanto, una volta allentata la pressione antropica, la riconquista iniziale delle posizioni migliori è stata relativamente rapida. In questo caso, l’abete ha dimostrato di possedere una facilità di disseminazione nettamente superiore alle altre conifere forestali. Il larice solamente ora inizia a discendere nella fascia mediomontana, mentre il cembro, il mugo e parzialmente il peccio sono sostanzialmente rimasti sulle stesse posizioni. Il loro posto è stato preso, come già detto sopra, dall’ontano, dal maggiociondolo, dal sorbo degli uccellatori, dal farinaccio e, fatto interessante, dall’acero di monte. La densità dei popolamenti d’abete è normale o scarsa, raramente colma; quest’ultimo caso si verifica solamente laddove non sono state effettuate utilizzazioni boschive, ovvero in poche stazioni rupicole, oppure nei gruppi misti con il peccio. La rinnovazione dell’abete è scarsa e si presenta indistintamente sia sotto copertura che nelle praterie; non sono presenti danni da gelo. La rinnovazione del faggio è quasi del tutto assente poiché le ceppaie sono giovani e la loro fruttificazione è molto scarsa. Il larice si rinnova esclusivamente nelle aree più degradate e rocciose, spesso associato al peccio e tende ad ampliare il proprio areale a discapito del pascolo. L’accrescimento dei giovani abeti è rapido, paragonabile a quello degli abeti appenninici. Le dimensioni raggiunte dagli abeti sono di 25-30 m di altezza per 80 cm di diametro. La longevità fisiologica non sembra essere particolarmente elevata; gli esemplari più vecchi raggiungono il secolo di vita, ma tale valore ha scarso significato in quanto gli unici esemplari di abete che riescono a concludere il loro ciclo vitale sono quelli posti sulle pareti, in posizioni di difficilissimo accesso. Comunque sia, sulla base di una stima oculare, le piante più vecchie non dovrebbero possedere un’età superiore a 150 anni. Nell’adiacente Valle delle Meraviglie le condizioni dell’abete sono parzialmente dissimili. Nonostante l’assenza del suo principale competitore, il faggio, l’abete è rimasto confinato sulle rocce e, solamente ora, dopo oltre 60 anni di abbandono della montagna, sta iniziando a discendere vigorosamente nelle pinete, parzialmente artificiali, e nei vecchi lariceti, iniziando un lento processo di restauro forestale che, se non interrotto dai pesanti interventi selvicolturali francesi porterebbe sicuramente alla quasi totale sostituzione delle pinete e dei lariceti con abetine di abete bianco.
CONSIDERAZIONI
Come abbiamo visto l’abete, nel massiccio dell’Argentera possiede un nucleo relitto di abete di media consistenza areale, ma di indubbio valore ecologico e selvicolturale. Il lento processo di ripresa cui stiamo assistendo, innescatosi con l’abbandono della montagna, è esattamente lo stesso che l’abete sta tentando di attuare, tra mille difficoltà, in Corsica (Rovelli, 1995), dove, al posto del pino silvestre ci sono il pino laricio (Pinus nigra Arn. subsp. Laricio Maire) e l’infestante betulla. Ma il confronto con la Corsica regge anche sul piano della distribuzione dell’abete e della sua ecologia. Nell’isola è bene evidente la successione altitudinale: foresta mediterranea > faggeta > abetina > alneto > prateria subalpina > prateria alpina > rocce culminali. Infatti, ad un più attento esame notiamo che ad una medesima natura litologica e conseguentemente morfologica, l’abete possiede anche l’identica diffusione: pareti rocciose, rupi, luoghi generalmente aspri, non amati dal faggio, anche laddove il clima è molto umido come nel caso delle Alpi Marittime. Da sottolineare la penetrazione dell’acero di monte e del sorbo degli uccellatori nelle formazioni subalpine di ontano verde; questo fenomeno è comune sia alla Corsica che alle Alpi Marittime. In conclusione, è evidente che l’abete possiede anche un carattere “rupicolo” che gli permette di resistere abbarbicato in località irraggiungibili, in attesa che migliorate condizioni a valle gli permettano di riprendere possesso dei suoi territori. Sulle Alpi Marittime l’abete occupa la fascia superiore del Fagetum (così come in Corsica), invadendo il Picetum e sostituendo in tempi relativamente brevi il larice ed il peccio, naturalmente nelle stazioni migliori. In quest’ambito, l’abete preferisce i quadranti settentrionali, dimostrando di essere una pianta più microterma del faggio. Ricordando che la Corsica si è staccata dalle Alpi Marittime circa 20 milioni di anni fa, perciò in un periodo nel quale la flora era sensibilmente diversa da quella attuale, osserviamo che quest’ultima ha assunto la stessa distribuzione e diffusione riscontrata sulle, oramai irraggiungibili, Alpi Marittime. Certamente da allora, decine di oscillazioni climatiche hanno mutato la fisionomia e la distribuzione delle specie vegetali; basti pensare alla strada romana che collegava la regione padana con la Provenza (Val Gordolasca) e che svalicava al Colle del Pagarì, liberata dal ghiacciaio della Maledìa nel 1927 ca. (Camoletto C.F., 1931), inconfutabile testimonianza di periodi storici più caldi dell’attuale. Nonostante ciò, le analogie sono ancora molte. Molte piante sono migrate dall’Appennino settentrionale nell’isola durante la glaciazione rissiana, ultimo effimero momento di collegamento tra la Corsica ed il continente europeo. Specie vegetali delle Alpi Marittime le ritroviamo in Corsica: l’abete, il mirtillo, l’erica carnea, l’erica terminale, l’ontano verde (dissociatosi nella sottospecie “suaveolens”), la betulla, il crespino (anch’esso dissociato nella specie “aetnensis”) tra le alpine, mentre quelle mediterranee sono rimaste pressoché invariate. Stranamente si nota la presenza del pino laricio in Corsica e la sua totale assenza nelle Alpi Marittime, così come il pino silvestre, estremamente comune nel versante francese delle Alpi, manca del tutto in Corsica, aspetti questi difficilmente spiegabili se non ipotizzando una diversa velocità di ridiffusione postglaciale. Inoltre, osservando la distribuzione dell’abete sulle Alpi Marittime si nota come la specie prediliga substrati metamorfici e sia relativamente svincolata dai parametri climatici, i quali invece, sono di assoluta importanza per il faggio, suo naturale antagonista.
BIBLIOGRAFIA
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T.C.I. – 1934 Guida pratica ai luoghi di soggiorno e di cura in Italia. Parte II, vol. I, pag. 25
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