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  • Fabrizio Sulli ha detto:

    Articolo davvero bello, specialmente la descrizione delle abetine meridionali ! Mi piacerebbe leggere sui popolamenti storici del Gran Sasso, anche in zona orientale…quindi suoli calcarei.

  • Di Meo Fabrizio ha detto:

    Sempre affascinanti le notizie che riguardano la storia delle nostre foreste.
    Aspetto altri articoli!

    Saluti
    Fabrizio Di Meo

  • nadia liberti ha detto:

    Questo blog è affascinante e coinvolgente; complimenti!

    Un saluto.

    Nadia

  • cristiano ha detto:

    Molot bello ed esaustivo, incredibili le numerose testimonianze antiche e ancor più incredibili sono i commenti pro-natura già presenti alla fine dell’800! Non l’avrei mai detto che qualcuno avesse notato e criticato lo sfruttamento intensivo in maniera così acuta e scientifica.
    Una cosa non mi è chiara: il ph del terreno è 4.5/6.5…(acidi), subito dopo scirvi:
    Prevalgono i suoli bruni lisciviati (quindi basici, da liscivia)…oppure lisciviati significa privati della liscivia, quindi della componente basica del terreno?

    • Enrico Rovelli ha detto:

      gli “ecologisti” ci sono sempre stati, solo che erano una frazione infinitesimale della popolazione ed avevano contro una società rurale assai sviluppata e motivata.
      I suoli lisciviati sono quelli privati della componente organica e delle basi e quindi acidi e poveri

  • Fabrizio Sulli ha detto:

    articolo e galleria bellissimi , sempre un piacere leggerli. Secondo me, la minaccia attuale all’abete e alle foreste, è rappresentata da un ritorno alla legna e alle coltivazioni in quota. Sul progetto praterie del parco, si nomina la laga per nuove utilizzazioni a pascolo, per ridurre il carico su Campo imperatore…una scelta del genere, se non controllata, annienterebbe le rinnovazioni.

  • moncler ha detto:

    thank you for your post

  • This could be the ideal blog for every person that is needs to be aware of this topic. You already understand much its just about hard to suggest along (not that I merely would wish … HaHa). You certainly placed the current spin with a topic thats been going over for decades. Outstanding stuff, simply fantastic!

    • Enrico Rovelli ha detto:

      Grazie per la segnalazione ! Articolo inserito nella bibliografia e blog aggiunto nell’elenco dei link. Effettivamente, il suo sito lo conoscevo da tempo. Mi scuso per non averlo aggiunto prima. Un saluto

  • Ottimo articolo, letto tutto d’un fiato. Un vero piacere

  • aniello ha detto:

    Articoli belli e profondi. Grazie Ha scritto qualcosa su eventuali presenze passate o attuali sulla catena del Partenio? E visto che l’abete prospera sui suoli argillosi non si potrebbe riforestare con esso tutta la fascia montana argillosa che va dal molise alla Lucania?

    • Enrico Rovelli ha detto:

      grazie per i complimenti. Per quanto ne so, sul Partenio l’abete era ancora diffuso nel XVIII secolo, ma potrei sbagliarmi. L’idea di rimboschire tutta la fascia argillosa appenninica molisana e lucana è una buona idea la quale, purtroppo, si scontra con i diritti della proprietà privata. Purtroppo, uno dei grossi problemi della montagna italiana (e non solo di quella) è l’estrema frammentazione della proprietà terriera. Tuttavia, vista l’attuale grave crisi economica verso cui ci stiamo velocemente avviando, chissà che si torni ad occupare una parte dei futuri disoccupati in opere di miglioramento del territorio. Staremo a vedere. Saluti

  • Riccardo ha detto:

    Molto interessante, tra l’altro ho capito finalmente come mai molte montagne dell’appennino siano così spoglie . Bel lavoro, come hai reperito tutte queste informazioni?

    • Enrico Rovelli ha detto:

      Grazie il per il commento. Le informazioni sono il risultato di anni di studi e di vita di “topo di biblioteca”. Un saluto

  • stefano pio ha detto:

    Grazie per l articolo, molto istruttivo. Volevo chiederle se per caso esistono masters dendrocronologici per le abetaie del sud Italia (Sila, Aspromonte) che permettano una datazione dei violini antichi napoletani del 1700.
    Volevo chiedere anche se, secondo lei, i master alpini per l abete possono essere utilizzati per una datazione del legno della Sila, da cui i liutai napoletani attingevano il legno per i loro strumenti. Grazie

    • Enrico Rovelli ha detto:

      ciao, scusa per il ritardo. Di esami dendrocronologici ne sono stati fatti abbastanza, sia sulle Alpi che sull’Appennino. Tuttavia, non sono in grado di risponderti se questi siano poi stati applicati alla datazione degli strumenti musicali. Con le dovute differenze, si, gli abeti alpini sono correlabili a quelli appenninici. Ti suggerisco di cercare lavori in merito sul portale academia.edu e su researchgate

  • Riccardo Novaga ha detto:

    Salve Enrico, prima di tutto volevo farti i complimenti per questo splendido portale e per i tuoi interessanti articoli. Volevo anche chiederti, data la tua competenza, se posso contattarti via mail per un parere riguardo ad una faggeta dei Monti Lepini.
    Grazie in anticipo,
    Riccardo.

  • Giacomo ha detto:

    Articolo ben fatto, che esemplifica in modo chiaro le problematiche legate all’attuale gestione forestale appenninica.
    Volevo chiederti se hai qualche dato sulla parte di popolazione che vive nell’appennino Emiliano – Romagnolo (comprendendo quindi il Parco Nazionale Appennino Tosco Emiliano).
    Grazie,
    Giacomo

    • Enrico Rovelli ha detto:

      ciao, scusa il ritardo.
      Per l’Appennino settentrionale vale quanto detto a proposito dei monti della Laga. Inoltre, praticamente tutto il crinale tosco-emiliano-romagnolo, soprattutto sul lato Emiliano e romagnolo, è stato oggetto di tagli devastanti dopo l’unità d’Italia. A riguardo ci sono numerose immagini di repertorio di fine Ottocento nelle quali si vedono boschi ridotti al lumicino. Se conosci bene la zona, pensa ai faggioni rimasti attorno il Lago della Ninfa, sopra Sestola. Sono i resti di floride faggete atterrate verso il 1860. Non conosco l’anno preciso, ma ho delle immagini che li ritraggono una 40na di anni dopo che conferma tale ipotesi. Tale aspetto è comune a decine e decine di altre località appenniniche settentrionali, eccezion fatta per Sasso Fratino, che riuscì a superare indenne la crisi di fine Ottocento, ma non la prima guerra mondiale, quando fu interessato da un taglio per la produzione di carbone vegetale.
      Fammi sapere se ti servono altre info.
      un saluto