Sempre nella zona settentrionale del Parco d’Abruzzo si erge una montagna dalla morfologia poco appariscente, poco conosciuta dagli escursionisti, ma meritevole di maggiore attenzione da parte di tutti poiché è l’ultima montagna appenninica di quasi 2000 metri di altezza ad essere ancora totalmente ricoperta di faggete. Inoltre, è anche interessante perché attorno la vetta, e maggiormente sulla sua cresta orientale, si trova una lembo di faggeta di aspetto cadente, di età indefinita, non martellata negli anni Cinquanta del XX secolo ma presumibilmente utilizzato nei primissimi anni del Novecento. La quota notevole, 1850-1975 metri, e la posizione di crinale, non permette ai faggi di raggiungere dimensioni notevoli, rimanendo compresi tra i 40 ed i 70 cm (un solo esemplare raggiunge i 95 cm) e le altezze mai superiori ai 20-22 metri, ma è certo che le età sono notevoli. Nella parte più alta sono presenti esemplari simpodiali, non provenienti da ceduazione e la vetta, sempre ricoperta dalla faggeta, ospita anche esemplari di Acer pseudoplatanus, Rhamnus alpina, Viburnum lantana e Berberis vulgaris. La necromassa è presente in quantità modesta poiché molte piante morte sono ancora in piedi. Nella parte più bassa sono presenti soprassuoli utilizzati a tagli successivi e taglio raso con riserva. In base all’osservazione delle foto aeree IGM del 1954 risultavano non recentemente utilizzate solamente le ultime zone sommitali della faggeta e buona parte della cresta est del monte. Ad est del Pietra Gentile, si eleva una vetta secondaria, il Colle Macerone (1924m), sul cui fianco orientale è stata da poco riscontrata la presenza di un altro nucleo di fustaia plurisecolare, con assenza di sgorbiature sui tronchi e piante di altezza compresa tra i 13 ed i 22 metri. I diametri raggiungono i 50 cm, con abbondante necromassa. La distribuzione degli alberi è irregolare e non mancano ceppaie con polloni plurisecolari, testimoni di un passato di bosco pascolato. Il portamento dei faggi è scadente e, forse, per questo motivo è stata risparmiata dalle utilizzazioni recenti. Il nucleo si trova esattamente sul confine tra i comuni di Bisegna e Gioia dei Marsi e la quota di vegetazione della faggeta è superiore ai 1900m. Notevole il fatto che sulla vetta del monte, interamente ricoperta dalla faggeta, vegetino esemplari di faggio di notevoli dimensioni, con diametri che oltrepassano i 50-60 cm. Poco più a sud della Terratta, ma sempre sullo stesso crinale, si incontra la faggeta di Coppo del Morto, in una zona già in contestazione tra il comune di Pescasseroli e quello di Scanno. In questo bosco sono stati trovati faggi di oltre 500 anni (Piovesan, 2003, 2005), ma in un contesto di fustaia di faggio pascolata e molto antropizzata. In questo caso, il bosco non possiede alcun carattere tale da poterlo considerare vetusto poiché i segni delle utilizzazioni sono molto evidenti. La parte più elevata è caratterizzata da un soprassuolo di piante di età superiori al secolo ma di dimensioni contenute, generalmente sciabolate e di portamento mediocre, dovuto presumibilmente all’azione congiunta del pascolo e delle avversità meteoriche. Solamente al di sotto di 50 metri circa dal limite della faggeta si incontrano faggi più slanciati e dal portamento normale. Il profilo del bosco è discretamente coetaneo, con tendenza alla disetaneità per gruppi, con sparsi all’interno grossi faggi di oltre 250-300 anni, equamente distanziati ed ancora in discrete condizioni di vegetazione. Molto probabilmente, si tratta di riserve rilasciate durante un taglio a raso con riserve avvenuto oltre 100 anni fa, seguito da modesto pascolamento. Le dimensioni delle riserve, data la quota del sito (1800m) non superano i 50-70 cm di diametro ed i 15-20 m di altezza. Le aie carbonili sono presenti solamente nella parte della faggeta di proprietà del comune di Pescasseroli, mentre sono assenti nella parte in contestazione. A questo riguardo, si ravvede la necessità di chiarire un punto fondamentale in merito ai boschi la cui proprietà è in contestazione. E’ opinione comune, ma errata, che la contestazione sospenda (ufficialmente) le utilizzazioni e perciò spesso si incappa nell’errore di considerare i boschi contestati come boschi vetusti, come nel caso del bosco di Fonte Novello, sul Gran Sasso. Infatti, è sufficiente osservare i caratteri morfologici e strutturali del bosco per rendersi conto che, nonostante la contestazione, le utilizzazioni ci sono state ugualmente, confermate anche dalla presenza di aie carbonili. Nel caso di Fonte Novello, le utilizzazioni avvenivano mediante accordi temporanei tra le parti in causa.
Sul lato opposto del Sangro si eleva il Monte Valle Caprara (1998 m) sul cui versante settentrionale vegetano belle fustaie di faggio, perlopiù coetanee, utilizzate in maniera fantasiosa. Come spesso accade, la parte superiore del bosco è orlata da una fustaia di protezione, parzialmente danneggiata dalle valanghe del sisma del gennaio del 1915, i cui segni sono ancora oggi ben visibili. I lembi scampati ai tagli e alle valanghe si trovano nelle zone convesse, dove lo scivolamento delle masse nevose non si è verificato. Naturalmente, anche in questo caso, non si tratta di soprassuoli vergini, ma si tratta di fustaie invecchiate, presumibilmente coetanee, già pascolate (Costa Caprara) e poi abbandonate. Il profilo di queste faggete è coetaneiforme e parlare di vetustà in questo caso è un po’ forzato poiché manca quasi del tutto la necromassa, anche se ci sono diverse piante secche in piedi e qualche tronco atterrato in disfacimento. Tuttavia, è pur sempre un interessante nucleo di faggeta invecchiata che ha superato indenne la stagione dei tagli dei primi cinquanta anni del Novecento. Le aie carbonili si trovano solamente 50-60 metri più in basso e sono presenti in numero molto limitato.
Nella parte centro-meridionale del PNALM si incontrano altri nuclei di faggeta plurisecolare, come sempre ai margini superiori del bosco. Il lembo più conosciuto è senz’altro quello di Cacciagrande, ritrovato dal forestale Fabio Clauser nel 1954. In questo caso, come notato da Clauser, si tratta di una faggeta ancora allo stato naturale, mai utilizzata né pascolata. E’ situata nel versante sn idrografico del profondo vallone di Cacciagrande, tra le balze rocciose del crinale che lo separa dall’adiacente Val Jancino. La quota è compresa tra i 1550 ed i 1650 metri ed il soprassuolo è edificato da faggio allo stato puro, mentre sulle balze rocciose è molto diffuso il pino mugo (Pinus mugo Turra). In realtà, come anche notato da Clauser, i nuclei sono più di uno e coprono una superficie complessiva di circa 5 ha. All’atto del ritrovamento, nel lontano 1954, l’identificazione di questi tratti di faggeta naturale era facile poiché il resto della faggeta era in corso di utilizzazione mediante teleferiche e decauville. Al contrario, oggigiorno, dopo oltre 70 anni da quegli eventi, identificarli non è più così agevole. Personalmente, ho avuto modo di visitare due volte queste faggete naturali, una volta in inverno ed due in estate e confesso che la seconda volta non è stato facile ritrovare i diversi nuclei naturali, peraltro, danneggiati dalla tempesta Vaia nel 2018. Non distante da Cacciagrande, nella V.Fondillo vera e propria, sotto la Serra delle Gravare, vi sono diversi nuclei di faggeta coetanea molto belle ed imponenti, utilizzate in passato ma risparmiate dai tagli di metà Novecento. Si trovano tutte nella parte superiore del bosco, come da copione, e sempre in posizioni rupestri, ovvero sopra morene o corpi di frana. Meritano una visita ed una in particolare è anche facile da osservare poiché si trova a pochi metri dal sentiero che sale verso il Valico delle Gravare, intorno ai 1700 m di quota.
Nella valle Iannanghera, in comune di Barrea, ci sono diversi nuclei di faggio molto interessanti, soprattutto quelli situati sotto la Sella di Lago Vivo, incastrati sopra montoni di roccia lisciata dai ghiacciai pleistocenici, che qui occupavano completamente la valle. Un nucleo secondario, è stato ritrovato nel 2011 dallo scrivente, pochi metri sotto la vetta del Monte Jammiccio. Come negli altri casi, anche in questo si tratta di una piccola fascia di protezione rilasciata durante i tagli del II dopoguerra. La struttura è disetanea per gruppi, con presenza di necromassa ed incisioni autografe su alcuni alberi. La quota si aggira attorno ai 1900 metri e, per questo motivo, le dimensioni raggiunte dai faggi non sono considerevoli. Secondo una stima effettuata dallo scrivente, le altezze non superano i 15-20 metri ed i diametri i 50-60cm. Più a sud vi è un nucleo di faggeta ancora allo stato seminaturale di ridotte dimensioni ma di imcomparabile bellezza. Si trova, naturalmente, al margine superiore della faggeta dei Tartari, sopra i 1800 m di quota, sulla cresta NE de La Vedetta dei Biscurri. Si tratta di un piccolo nucleo di faggi di notevoli dimensioni e senza alcuna traccia di utilizzazioni, quantomeno avvenute negli ultimi 60-80 anni. Notevole è il fatto che gli alberi siano disposti in maniera non aggregata oppure raccolti a gruppi. Come sempre accade nelle faggete più naturali, vi è la presenza di alberi simpodiali ed un grosso esemplare di un metro di diametro, di età indefinibile. Il nucleo sfuma in alto in una faggeta sommitale di aspetto poco più che cespuglioso ed in basso in un soprassuolo di età non avanzata assimilabile ad una “giovane” fustaia trattata in maniera irrazionale nella seconda metà del Novecento
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BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
Clauser F. – 1954. Boschi ed economia forestale del Parco d’Abruzzo. Collana Verde. Min. Agr. Foreste
Piovesan G., Bernabei M., Di Filippo A., Romagnoli M., Schirone B., 2003 – A long-term tree rinch beech chronology from a high-elevation old growth forest of centrale Italy. Dencrochronologia, 21: 1-10
Piovesan G, Di Filippo A., Alessandrini A., Biondi F., Schirone B., 2005 – Structure, dynamics and dendroecology of an old-growth Fagus forest in the Apennines. Journ. of Vegetation Science, 16: 13-28
Susmel L., – 1980. Normalizzazione delle foreste alpine. Liviana Editrice
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